Martina Campi
foto di Filippo Mazzotti AULA 21
MARTINA CAMPI
- Mi piacerebbe iniziare l’intervista con un ricordo. Com’è stato il tuo primo incontro con la poesia?
È avvenuto nel periodo delle scuole elementari con Ungaretti. Forse è a quel tempo che la poesia ha iniziato ad agire dentro di me. Avevo una maestra molto appassionata, ci aveva fatto imparare a memoria il Cinque Maggio. L’approccio con la poesia da bambina per me era un approccio molto visivo.
- Ricordi i tuoi primi componimenti in versi?
Ho iniziato a scrivere nel periodo delle scuole medie. Da bambina adoravo imparare le poesie a memoria. Durante le scuole medie mi divertivo a fare collage di versi delle poesie che mi piacevano, poi nel periodo delle scuole superiori ho provato a scrivere le prime cose mie.
- Parliamo adesso di Quasi radiante, il tuo ultimo libro appena uscito per Tempo al libro. Mi piacerebbe tu ci raccontassi il percorso di scrittura.
È nato in un brevissimo periodo di tempo seguendo un tracciato molto faticoso di suoni, visioni, silenzi notturni. Era marzo – aprile 2015. Il libro è nato già con una struttura a tre voci e una parte in prosa poetica come fosse una voce ulteriore, quasi esterna. È lo speculare diurno di un lavoro in prosa poetica che per il momento resterà nel cassetto. Questa architettura, anche stretta, fatta di relazioni, simmetrie numeriche che a volte sono però illusorie e questo tratto illusorio di indeterminatezza consente di perdersi – a me è capitato durante la scrittura. Ci sono però altre cose a cui aggrapparsi.
- Nella raccolta si percepisce la tensione e la conseguente impossibilità di ricostruire l’Io attraverso frammenti, oggetti, polvere. Una tensione che trova nella voce e nella lingua possibili strumenti per saldare il legame col corpo.
Da un lato nella struttura c’è quasi una costruzione che però cede, anche nel significato. Non c’è mai qualcosa di definitivo, nel suono invece c’è qualcosa che si ritrova, non so se si ricostruisca, però si ritrova. Nel suono c’è una sorta di risposta.
- In Quasi radiante è molto forte la componente sonora e questo mi porta a chiederti quanto il libro sia legato al tuo percorso di performer.
In realtà è il libro che faccio più fatica a tradurre in una performance. È un libro dall’andamento molto misterioso. Ci sono cose che scrivo che so che non andranno a finire su un libro ma in una performance, però non saprei dirti perché, cosa crei questa distinzione. Ci sono invece cose che nascono sulla pagina ma non necessariamente avranno una traduzione in una performance. Il libro non è stato scritto per una dimensione performativa. Non riesco a predeterminare cosa succederà nel momento in cui scrivo, se il testo troverà una vita nella performance o rimarrà sulla pagina. Quando propongo le mie performance non voglio dare ai testi una forma scolpita, la forma è quella che mi suggerisce il suono delle parole. A volte la trovo in un testo scritto, in questo testo non l’ho sentita in un modo preciso, forse questi testi, dentro di me, sono ancora prontiper una sonorizzazione, forse questo è legato all’indeterminatezza del libro, che sembra sfuggire.
- Ti è mai capitato di scrivere per altri?
Ho performato cose di altri autori ma non ho mai scritto per altri.
- Chiudo chiedendoti di raccontarci, se vuoi, qualche progetto futuro.
Come scrittura ho alcuni lavori già pronti; al momento non sono su un progetto in particolare, ora come ora non mi trovo dentro una ricerca ossessiva. Quanto a pubblicazioni, mi chiedo spesso il senso di pubblicare un libro. Avevo anche deciso di non pubblicare; quando è arrivata l’occasione di Quasi radiantemi è sembrata una cosa bella. Sto lavorando inoltre ad una nuova performance di poesia e musica elettronica con il musicista Mario Sboarina con cui collaboro fin dall’inizio (siamo anche sposati!), è un lavoro complesso, un poema elettronico in tre movimenti, siamo nella fase poco più che iniziale del progetto, anche se abbiamo fatto delle verifiche live che ci hanno soddisfatto.