Antonio Lillo
intervista di Michele Paoletti
foto di Giorgia Scarpetti, Aula 21
ANTONIO LILLO
- Mi piacerebbe iniziare l’intervista con un ricordo. Com’è stato il tuo primo incontro con la poesia?
Me lo ricordo perfettamente, era fra seconda e terza media, c’era l’ora di matematica – una materia che ho sempre odiato – e, visto che il professore era particolarmente noioso, io sotto il banco davo un’occhiata all’antologia e mi è capitato di leggere I fiumi di Ungaretti e mi sono perduto. Il primo Ungaretti… andrebbe approfondito perché è pieno di immagini coinvolgenti. Mi innamorai di quei versi e iniziai a scrivere.
- Ricordi i tuoi primi componimenti in versi?
Ho iniziato a scrivere da ragazzino e ho buttato via tutto, grazie a Dio. Ho aspettato i trent’anni per pubblicare le mie poesie, avevo bisogno di sentirmi sicuro. Adesso che sono passati dodici anni ho iniziato a pubblicare in rete le poesie che scrivevo a ventitré, ventiquattro anni e mi dicono sono meravigliose! Forse sono stato molto severo con me stesso. Quelle erano poesie molto informali, tipo slam poetry. Poesie non complesse sul piano di vista semantico, avevano l’obiettivo di raggiungere in maniera diretta il lettore.
- I social, secondo te, possono essere un mezzo per diffondere la poesia?
C’è da fare un grosso distinguo. In quanto editore mi sento di dire che si tende a confondere poesia ed editoria di poesia: se pensiamo al social come diffusore di libri e di vendite, non credo sia uno strumento efficace. La vendita dei libri non passa dai social, i libri devono essere manipolati, magari parlando anche con l’autore se c’è. Nella diffusione di poesie in quanto testi, performance, video, ecc., invece penso di sì. Naturalmente dipende dal testo che viene condiviso: il primo Montale e Zanzotto probabilmente non raggiungeranno un pubblico vasto su Instagram, ma poesie semplici sì. Ci sono persone che condividono Neruda e Penna, che funzionano perché sono testi più brevi e immediati. A Montale ci arriverà chi approfondisce.
- Parliamo adesso di Limonio, il tuo ultimo libro, che mescola poesie e brevi prose. Com’è nato? Qual è stato il percorso di scrittura?
È un libro nato per caso, che finora ho promosso pochissimo. Negli ultimi anni ho scritto molto e volevo chiudere dei fili tirati nel corso degli anni precedenti. All’inizio Limonio doveva essere un libro sui miei gatti, ma nel frattempo ho perso una persona cara e ho sentito la necessità di scrivere poesie sulla perdita, su come cambia la vita e sul fatto che, perdendo un affetto ad una certa età inizi a porti dei dubbi sulla tua stessa vita, delle domande. Qual è il rapporto con la morte? Cosa lascio? Poesie sulla cosiddetta età di mezzo. A queste si sono affiancate le mie storie editoriali che pubblico sui social come una sorta di diario. Le poesie dei gatti alla fine sono state tagliate e ridotte di molto. All’inizio il libro doveva chiamarsi Storie dei miei gatti, dopo Le mie lamentazioni di editore povero, alla fine Limonio. Un libro vivo che si è evoluto e mi pare in continua evoluzione.
- Limonio è un libro in cui poni molta attenzione alla parola. Ad un certo punto scrivi “Se parola sono. E quale.” Come se l’uomo iniziasse ad esistere nel momento in cui viene nominato, è così?
È un principio che ho iniziato a comprendere meglio quando ho iniziato a scrivere in dialetto. È nel momento in cui lo pronunci che l’oggetto assume un valore, un significato che cambia a seconda della lingua, della parola in cui è pronunciato. Ad esempio il mio nome: qualcuno mi chiama Vitantonio, qualcuno Tonio, altri Totonno. Ogni nome contiene un rapporto affettivo diverso, io sono sempre lo stesso ma la sfumatura contenuta è diversa…
- Nel libro intersechi Antonio Lillo editore ed Antonio Lillo autore. Cosa pensa l’editore dell’autore? E l’autore è soddisfatto del suo editore?
C’è un rapporto pessimo tra i due. L’autore si lamenta di continuo dell’editore. Io vivo sempre col dubbio di sovrappormi agli altri autori della casa editrice e spesso per questo mi autopunisco. Ho scritto Limonio e non ho ancora fatto una presentazione né l’ho spedito a critici o riviste. Il mio lavoro autoriale finisce per essere messo in secondo piano ma è una scelta precisa dell’editore che prima o poi l’autore capirà.
- Chiudo chiedendoti di raccontarci, se vuoi, qualche progetto futuro.
Come autore non sto scrivendo più ma ho un intero libro nel cassetto scritto nei dieci anni trascorsi: Teoria delle anguille. Poesie erotico-amorose scritte per diciassette donne diverse, quindi non è vero che i poeti non acchiappano. Ma non riesco a concluderlo perché continuo a innamorarmi…