I ferri corti (LietoColle, 2019) di Paolo Maccari sarà presentato alla rassegna Poetry mercoledì 18 dicembre alle ore 21.00 presso il Bistrò Rossini da Monica Guerra e Rossella Renzi.
Il libro, pubblicato nella prestigiosa collana Gialla Oro di Pordenonelegge, raccoglie il meglio della produzione poetica dell’autore partendo dai suoi esordi (dalla Raccolta Ospiti, Manni, 2000) sino a oggi.
Musica a cura di Ettore Marchi, per cui si ringrazia la Scuola Sarti.
OPEN MIC in coda per il pubblico.
PAOLO MACCARI
Paolo Maccari (Colle di Val d’Elsa, 1975) è poeta e critico lettarario. Nel 2000 ha pubblicato, con prefazione di Luigi Baldacci, la raccolta di versi Ospiti (Manni), nel 2006 la plaquette Mondanità (L’obliquo), poi confluita nel volume Fuoco amico (Passigli). Ha introdotto e curato diverse opere di autori otto-novecenteschi; è autore di un’ampia monografia su Bartolo Cattafi: Spalle al muro (2003) e di un libro su Dino Campana, Il poeta sotto esame (2012). Collabora, con saggi e articoli militanti, a quotidiani e periodici specializzati.
ETTORE MARCHI
Ettore Marchi ha compiuto gli studi musicali al Conservatorio Statale G. B. Martini di Bologna sotto la guida di Walter Zanetti.Ha approfondito i suoi studi presso il Real Conservatorio Superior de Música “Victoria Eugenia” de Granada e alla Scuola di Musica Antica a Venezia (SMAV).
Attualmente frequenta il biennio di specializzazione interpretativa in liuto presso il Conservatorio di Musica F. Vittadini di Pavia sotto la guida di Massimo Lonardi, è allievo del corso di composizione di Cristina Landuzzi al Conservatorio Statale G. B. Martini di Bologna e dell’Accademia Chitarristica Segovia di Pordenone per approfondire i suoi studi classici con Paolo Pegoraro e Adriano del Sal.
È docente di chitarra classica e liuto presso la Scuola di Musica G. Sarti di Faenza e presso la scuola media S. Umiltà di Faenza.
Da I ferri corti
Da Ospiti (2000)
Traguardi
Povere anime incise in un corpo
rovinoso e disubbidiente povere
anime brumose divelte dalla
coscienza, come scivolate nei
tremendi fossati delle mattine
interminabili e scontrose e ferme.
Passate indenni attraverso le grandini
d’eventi grandiosi terribilmente
capaci di indurire le impalcature
dei cuori, se solo manca un evento
minimo al suo appuntamento con una
consuetudine, entrate nel dolore
agro, nella giostra della furiosa
protesta – e sopportaste in piedi voci
o scritture che d’un tratto feroci
vi facevano orfani vedove
vi depredavano d’un figlio d’un
fratello di una qualsiasi altra cosa
necessaria, e foste fermi e viveste
e ora al vostro assassino basterebbe
negarvi un pasto all’ora stabilita
e voi morireste – e questo è duro –
di rabbia per l’ingiustizia patita.
Povere già morte nell’uguaglianza
della stessa fine anime ferite
mortalmente dall’indugio crudele
della morte, nessuno è più innocente
di voi insopportabili rimasugli
d’uomini e donne di qualsiasi risma,
nessuno vi aveva avvertito quando
eravate coraggiosi di come
si coagula in macchia il sangue vivo
né avreste potuto far niente mai
per raggiungere una vera salvezza.
S’estinguono all’unisono salute
e mente e non rimane scelta libera
tra fine volontaria ed ingloriosa
caduta nello zero che trangugia.
Povere che la pietà non ferisce
né consola anime senza memoria
e dunque senza amore né rancori,
l’occhio che vi vede si storna rapido
diviene un brivido prima d’assolvervi.