Edgar Kunz
Rubrica Traduzioni a cura di Sandro Pecchiari
Tap Out – Al tappeto di Edgar Kunz, Fuorilinea – Caravelle, 2021, edizione con testo a fronte e traduzioni di Katie Scroccaro.
La versione originale Tap Out (Mariner / Houghton Mifflin Harcourt, March 5, 2019), è stata supportata da una borsa di studio e dai riconoscimenti di the National Endowment for the Arts, the Maryland State Arts Council, MacDowell, Bread Loaf, e Stanford University.
È un libro che sa immergere il lettore nella crudezza di un mondo in veloce mutazione, a volte inimmaginabile. Un libro di persone inventate, ma più spesso amalgama di persone conosciute e/o amate. Le poesie accumulano, con precisione fotografica, particolari, oggetti e accadimenti che però sottendono storie pregresse mai troppo esplicitate e la cui conclusione, a volte dolorosa, spiazza la lettura e costringe e rileggere i versi sotto la luce delle rivelazioni in itinere. L’obiettivo della collezione, dice Edgar Kunz, non è creare un modello a scala 1:1 della vita, ma creare, ogni volta, la rappresentazione più sorprendente di come ci si sente ad essere “vivi” e condizionati e poco liberi nei rituali quotidiani e nella nitidezza dell’alienazione che ne consegue.
La poesia Farmsitting può essere un ottimo esempio della sua visione e ricostruzione/rappresentazione della realtà americana:
Most days the same
with minor variations. Flat blue
of the 5am kitchen. Two scoops of feed
in a plastic bucket. A small bowl
of yogurt and an hour stacking
what the ice brought down overnight.
I was happy. I slept in their bed,
I read the mysteries on their shelves.
Always something precious gone,
someone hot on the trail.
I walked in borrowed boots
across the frozen pasture and back
each morning, each morning
the feed, the spigot, the horse dragging
its bulk against the stall.
I’d walk out nights and stand
on the same trampled spot in the yard
and listen to the cold stirring
in the cheatgrass. Dull glow of a town
on the horizon. Hiss of snow.
I’d lie in their bed under three heavy
cotton blankets and worry
about the horse and the dwindling
supplies. It was a life and it was not
mine. To sleep, I imagined the great
slabs of granite buried slantwise
in the hills. To sleep, I counted
the measures ticked out
in the porcelain tub, slow drip
to keep the pipes from freezing.
Quasi tutti i giorni la stessa cosa
con minime variazioni. Il blu uniforme
della cucina alle 5 del mattino. Due palette di foraggio
in un secchio di plastica. Una ciotola
di yogurt e un’ora a spalare
ciò che il ghiaccio aveva fatto cadere durante la notte.
Ero felice. Dormivo nel loro letto
leggevo i gialli sui loro scaffali.
Sempre la scomparsa di qualcosa di prezioso,
qualcuno che seguiva delle tracce.
Camminavo con stivali presi in prestito
avanti e indietro attraverso il pascolo ghiacciato
ogni mattina, ogni mattina
il foraggio, il rubinetto, il cavallo che trascinava
la sua mole contro la stalla.
Uscivo di notte e me ne stavo in piedi
nello stesso punto calpestato del cortile
ad ascoltare il freddo che rimestava
le spighe. Il bagliore opaco di un paesino
all’orizzonte. Un sibilo di neve.
Mi sdraiavo nel loro letto sotto tre pesanti
coperte di cotone e mi preoccupavo
del cavallo e delle scorte
in diminuzione. Era una vita e non era
la mia. Per dormire, immaginavo le grandi
lastre di granito sepolte di traverso
sulle colline. Per dormire, contavo
il battere del tempo con il ticchettio
nella vasca di porcellana, il gocciolio lento
per evitare che i tubi si congelassero.
Farmsitting rende la ritualità dell’ovvio e del quotidiano, calandolo in una specie di riverente rispetto: “Two scoops of feed / in a plastic bucket. A small bowl / of yogurt and an hour stacking / what the ice brought down overnight.”
Spesso, nonostante la ritualità del quotidiano, è come se si vivessero due sentieri paralleli, a volte interscambiabili. Si lavora ad altro, ma la mente continua come un rumore di fondo a comporre ed elaborare le esperienze e le sensazioni dell’ogni giorno: “My main strategy for working through a problem in a poem is to get lost in a physical task. The brain keeps humming in the background.”
Questo modo di viversi tende a rendere temporanea ogni azione, come se fosse data in prestito, “I walked in borrowed boots” “across the frozen pasture and back / each morning”, scivolando in una vita diversa, quasi parallela, che permetta di estraniarsi dalla routine e dalle ossessioni che questa comporta. E camminare come se un intruso scaturisse da noi stessi e che imponesse di vedere la propria vita più attentamente e chiaramente: la chiarezza attraverso l’alienazione. La domanda quindi è capire come queste ‘assenze’ da se stessi permettano di liberarsi/liberarci/liberarcene efficacemente.
Così la raccolta tratta principalmente della pulsione ad andarsene, ad arrendersi prima che la situazione si faccia veramente pericolosa, e irreparabile. Tap out, come tutti i verbi fraseologici inglesi, costituiti da un verbo più una preposizione, diventa inafferrabile in una traduzione in un’altra lingua. Significa da una parte aver finito il denaro e più ampiamente ogni risorsa, quindi essere prosciugati a livello anche metaforico. Suggerisce inoltre l’atto di resa assoluta, toccando con i polpastrelli o con il piede il rivale o l’arbitro per avvertirli della scelta. Implica quindi l’atto dell’abbandono quando non si possiede più denaro, energia o tempo; entrando nel personale dell’autore, la presa di distanza da un padre alcoolizzato, alternativamente depresso e violento, dalla mamma che fugge da questa situazione, dall’autore stesso che sviluppa una tecnica di fuga come meccanismo di sopravvivenza.
E la poesia è un tentativo di scendere a patti con la presa di coscienza che non si può fuggire per sempre.
Tap Out
We were vicious. Swollen cheekbones, bruised jaws.
Forearms chafed raw and weeping. The Boston
Crab. The Texas Cloverleaf. The Cross-
Face Chicken Wing. One time, Ant wrenched
my shoulder so hard I couldn’t lift my arm
for a week. Another time, Mike’s brother Daryl tried
a front-flip slam off the back steps, landed
face-first in the dirt. Wrist bone shot clear
through the skin and gleaming. Mike’s dad worked
second shift at Pratt, so if we were loud he’d holler
out the bedroom window, but there was nothing
he could do to punish us we weren’t already doing
to each other. And we knew it. Like that time
Daryl showed us his pistol, a .22 he lifted
from a friend’s house. We passed it around,
weighing it in our palms. It was heavier
than it looked, but it felt good. He put the barrel
in his mouth and when we jumped up
he laughed and laughed. Priceless! he said red-faced
and gasping. You pussies almost wet your pants!
We learned new moves, new ways to shock the body
into miracles of pain. The Figure-Four Lock.
Al tappeto
Eravamo feroci. Zigomi tumefatti, mascelle livide.
Avambracci scorticati e sanguinanti. Il Granchio
di Boston. Il Quadrifoglio del Texas. La Croce sul Viso
e l’Ala di Pollo. Una volta, Ant mi ha storto
la spalla così forte che non ho potuto sollevare il braccio
per una settimana. Un’altra volta, Daryl, il fratello di Mike, ha provato
il salto mortale in avanti sulle scale sul retro, atterrando
di faccia. L’osso del polso gli attraversava
la pelle chiaro e abbagliante. Il papà di Mike faceva
il secondo turno da Pratt, perciò se facevamo casino ci strillava
dalla finestra della camera da letto, ma non poteva
punirci più di quanto stessimo già facendo
noi. E lo sapevamo. Come quella volta che
Daryl ci ha mostrato la sua pistola, una 22 che aveva fregato
dalla casa di un amico. Ce l’eravamo passata,
soppesandola nel palmo. Pesava più
di quel che sembrava, ma era piacevole. Si era ficcato la canna
in bocca e quando avevamo trasalito
si era messo a ridere a crepapelle. Troppo forte! aveva detto ansimando
tutto paonazzo. Vi siete quasi pisciati sotto, femminucce!
Imparavamo nuove mosse, nuovi modi con cui scioccare il corpo
in miracoli di dolore. La figura a Quattro.
Katie Scroccaro, la traduttrice, si è trovata a tradurre con maestria l’inglese di Kunz che è denso, potente e conciso nella nostra lingua che tende invece ad essere maggiormente esplicativa e distesa.
La casa editrice Fuorilinea-Caravelle, di Roma/Monterotondo, esplora realtà apparentemente “altre” dalla nostra, civiltà e culture diverse legano il passato al presente, sapendo compiere, là dove necessario, una sorta di fuga all’indietro per meglio comprendere, e interpretare, il presente. Questo viaggio ‘fuorilinea’ è aperto ai contributi e ai suggerimenti dei lettori proprio per non restare ingabbiati in schemi troppo rigidi, ma rimanere flessibili e aperti a cogliere ogni suggestione che permetta di aprire spiragli su questa “terra incognita” che è il tempo in cui viviamo. Una collana che appare perfetta per questa raccolta di versi, essendo principalmente una vetrina per i poeti statunitensi contemporanei, che meglio di chiunque altro sono capaci di raccontare l’intensità delle sollecitazioni di una società che cambia velocemente senza evitare di considerare gli aspetti più violenti, i disordini, le durezze e le divisioni. Un viaggio verso il tempo presente incognito.