Luca Mozzachiodi

La ragazza rossa (poesie e traduzioni)

(ANTEPRIMA, 

2025)

fotografia di Virginia Morini

 

 

*

STELLA A TRE PUNTE

falli per me un dir d’un paternostro (Dante)
y me da ganas de gritar a todos:
Si echan de menos algo, aquí se queda! (C. Vallejo)

 
Gli occhi di mio padre gialli,
lattiginosi stanno dentro la grappa
di mezzanotte, mi accusa il bulbo di luce
della cucina in affitto.

Vedilo qui come si aggrappa lui
ai gesti minimi sul calendario,
non c’è per te speranza dice il bagliore
delle macchine sotto e nessuno si ferma.

Ho io quel che avete perduto,
con me stanno le vostre chitarre, le altalene,
le lettere d’amore e le conchiglie, ho io
il vostro galeone in bottiglia

e il sole dell’infanzia nelle tasche
e la bandiera sul mappamondo in plastica
con la stella a tre punte ricamate.
Ho io questa pietà che vi appartiene!

E tutte le promesse le tengo
nel forziere di legno dei pirati,
ho io la chiave ma voi non verrete
a chiedermi che sia restituita.

Non è vero del resto che le ho,
piuttosto sono sogni che ho affittati
a voi che vivete la vita
in attesa di essere ammazzati.

*
NOTTURNO

Terribile è, terribile,
che tu sia di un altro.
Prendi appunto di questo,
che nemmeno chi scrive si appartiene.

Sale una densa nebbia e verde,
serrate le imposte cittadini,
sprangate le porte e i cuori
siano ben barricati.

Terribile è, terribile,
guardare negli angoli in ombra
i ricordi raggrinzire come lenzuoli piegati
e i bottoni stare aperti sul vuoto.

Ricordi tu la vita che svanisce?
La sveglia inghiotte i giorni futuri
mentre dormi e le mani ti tremano
al risveglio. E i segni sui muri.

Terribile è, tremendo,
sapere che fu là, ai magazzini del sale,
tra le case dalle molte finestre,
le cabale allo spray sulle serrande chiuse.

Si ritira la luce di dicembre
su cui ha urlato la cornacchia
che scava le ultime memorie
da un giardino d’Europa.

Terribile è, tremendo,
donna del sangue che tu sia d’un altro
e nemmeno io sia mio.
Prendi appunto su questo.

La pelle mi si squama,
gli schermi brillano nella notte,
come un’accusa dicono: è colpa tua,
non c’è più posto qui per i prodigi.

Terribile è, terribile,
vedere come cacciano i topi dai magazzini,
dalle caserme vendute e in disuso,
tra poco me ne andrò con loro.

Senti tu la vita che svanisce,
donna del sangue, prima di pulsare?
La mano è appena un sogno di tremore
sopra il tuo cuore chiuso.

*
TI VOGLIO BENE

Lo dice così come una mezza pioggia
di gennaio che non bagna, ti cerca
la mano e non la troverà, che tu lo sai,
è il modo che hanno i corpi di sparire

quando non c’è più fuoco, quando
per un po’ non mi vedrete resta senza attesa
e le congetture si abbarbicano alla stanza,
ti voglio bene e non è mai abbastanza.

Anche una piuma può recare offesa
e pesare sulla bilancia del mercimonio,
ma tu da me che vuoi? Volere poi
è restare ancorati, avere dentro le spine.

Sulle mura del bagno azzurro un mandala di tutti i paesi,
sul bancone a penisola rovine
di una festa e vetri che da ogni prospettiva
ti mostrano mentre scuoti la testa

e l’aria che non rompe una parola,
tessuta di risa, stracci, bestemmie.
Se mi vuoi bene me ne vuoi da sola
mentre la pioggia si spegne.

*
LEGGENDO GIUDICI

Stanchi le pagine che portano
sudici segni di mani e di anni,
i versi sono sempre gli stessi, le pause
misurate, ogni accento un ricordo,
il giallo della costa sa di foglie morte.

Così sei stato sordo alle tue voglie,
annacqui un po’ la cena del Signore,
tu senza più sorte, tu senza più amore
spiani la minima sintassi
come un fucile sui giorni nemici.

La sera è masticata dai passanti,
se tu fossi con loro, ti dici,
la fine per te uguale e sputerebbero le ossa.
Una giacca strappata su un bastone
che mai ebbe fortezza. Leggi Giudici.

Un alito di vento può smuoverti,
un pugno alzato, una speranza:
voi non sarete più quelli di prima.
Ma intanto il buio cresce nella stanza
e di te pensi che diranno solo

che cantava più forte, che sapeva
fare rima all’occorrenza,
ma di uno così che non si leva,
dal dubbio più che dal lavoro piegato,
anche il regno dei cieli farà senza.

 

TRADUZIONI

*
DA MIGUEL HERNÁNDEZ

CANZONE DELLO SPOSO SOLDATO
D’amore e di sementi ti ho popolato il ventre,
ho prolungato l’eco di sangue a cui rispondo
e attendo sopra il solco come l’aratro attende:
sono arrivato al fondo.

Bruna dalle alte torri, alta luce e occhi alti,
sposa della mia pelle, mio gran sorso di vita,
pazzi i tuoi seni crescono verso di me con salti
di cerva fecondata.

Già tu mi sembri essere un cristallo delicato,
che temo mi ti spezzi anche l’urto lieve,
e a te come il ciliegio la mia pelle di soldato
rinforzerebbe le vene.

Specchio della mia carne, sostegno alle mie ali
ti do vita nella morte, che mi danno e non prendo.
Donna, donna ti amo accerchiato dagli spari,
bramato da quel piombo.

Anche sopra le bare in agguato e feroci,
sopra gli stessi morti senza scampo né fossa
ti amo e vorrei, sposa, con tutto il petto di baci
coprirti nella polvere.

Quando vicino ai campi di battaglia ti pensa
la fronte che non placa né rinfresca la tua figura,
Ti fai vicina a me come una bocca immensa
di affamata dentatura.

Sentimi alla trincea, scrivimi nella lotta:
qui con il fucile evoco il tuo nome e lo sigillo
e difendo il tuo ventre, povera che mi aspetta,
e difendo tuo figlio.

Nascerà nostro figlio con il pugno serrato,
avvolto in un clamore di vittoria e chitarre,
lascerò alla tua porta la vita da soldato
senza artigli né zanne.

Per continuare a vivere devi uccidere per forza.
Un giorno verrò all’ombra dei capelli lontani,
dormirò nel lenzuolo di amido e di sfarzo
cucito dalle tue mani.

Vanno dritte al parto le tue implacabili gambe
e l’implacabile bocca di labbra indomabili.
E davanti al mio deserto di brecce e di bombe
tu percorri un cammino di baci implacabili.

Al figlio apparterrà la pace che sto forgiando
E infine in un oceano di ossa frantumate
Il tuo cuore ed il mio naufragheranno, restando
noi un uomo e una donna, dai baci consumati.

*
DA HENRY WADSWORTH LONGFELLOW

LA RIMPATRIATA
Dopo una lunga assenza
ci rincontriamo infine,
ci dà piacere allora ritrovarci
o è una sofferenza?

Scosso l’albero della vita
ora pochi fra noi resistono,
come le tre ciliegie del profeta
sulla punta del ramo più alto.

L’uno l’altro saluta cordialmente
in quel vecchio tono familiare
e pensiamo, pure senza dirlo.
come l’ha ingrigito invecchiare!

parliamo del Natale
e quanti a te Buon Anno!
Ma non si fa che pensare
a quelli che con noi non stanno.

raccontiamo allora degli amici
i detti, i fatti e la sorte,
finché paiono soli morti i vivi
e sola vita la morte.

E tra gli ospiti e i fantasmi
alla fine distinguiamo a stento
e una nebbia e un’ombra di tristezza
ci ruba il nostro ridere contento.

*
DA SOMHAIRLE MACGILL-EAIN (SORLEY MACLEAN)
DA POESIE AD EIMHIR

V
Ragazza rossa, gran peso
che ha esaurito la mia forza
e, amore bianco, aspro il tormento
che mi fende il cuore;
non pianifico imprese di valore,
da quando risplendette la tua figura
il mio animo ha perso l’aria da vincente,
la tua essenza lo getta in scompiglio.

Molte notti d’ansia
la mia brama saettava
e in molte sere tormentose
il ferro entrava nelle mie speranze,
il tuo sguardo faceva vacillare
il mio rigido cuore d’acciaio
e il mio sangue veloce e pronto
veniva meno per la tua allegria.

O bellezza, ragazza dai capelli rossi,
hai fatto a pezzi una forza
che era altezzosa e fiera
prima che serena splendessi:
la tua bellezza mi ferisce
di una tristezza profonda e oscura
e il tuo chiaro, dolce viso
mi ha discosto dalla mia ricerca.

E, ragazza rossa, il mio peso non è
che io sono un riscatto per l’Europa,
e il mio piangere molto è così amaro
non perché sono disorientato,
ma perché non ho avuto il tuo amore
sorpassando le sciocche convenzioni,
sorpassando la vanità del mondo,
sorpassando il mio oscuro dichiararmi.

Settembre 1939

*
XV
TRE CAMMINI
A Hugh MacDarmid

Non potevo rimanere in vista
della stretta strada di montagna
che era indicata al cuore della tua poesia:
e, perciò, MacDiarmid,
addio: ma se avessi voluto
avrei potuto percorrere con agio
la piccola, asciutta, strada sgombra
che Eliot, Pound, Auden,
MacNeice e Herbert Read col loro stuolo presero.
Avrei potuto, se non per la svolta
data al mio animo per due anni
dalla mia terra, dal fato della Spagna,
da un cuore furioso e una bella ragazza.

Dopo i precedenti “Le strade di Gerico” (2013), “L’arte della sconfitta” (2017) e “Tempo stellare” (2024) Luca Mozzachiodi propone in questa sua nuova raccolta, al momento ancora inedita, una evoluzione di non poco momento nel suo percorso di poeta engagé di fortiniana vocazione e formazione storica e critica. “La ragazza rossa” si configura infatti come un dittico nel quale una prima sezione di testi poetici originali e in cui prende la scena l’universale sentimento del manque amoroso – da secoli vera e altissima forza generatrice della poesia occidentale – cede il passo a una seconda sezione dedicata interamente alle traduzioni da poeti spagnoli quali Miguel Hernandez, Antonio Machado (così caro a Giovanni Giudici, vale a dire uno dei possibili Maestri di Luca) e César Vallejo e poeti anglofoni come Longfellow, Tennyson, Emily Dickinson, John Cornford e Sorley Maclean, da un verso del quale è peraltro tratto il titolo dell’intera raccolta. Ed è fra queste due latitudini che si giocano la distanza e la reciprocità dell’amore e del disamore, così come dell’impegno politico e della dolente ma inarresa riflessione esistenziale. E qui più che altrove Mozzachiodi pare rendersi disponibile a una vulnerabilità umana cui poco soccorre il sapere critico e filologico ma che più e meglio sa intridersi di rabbia e tenerezza al punto da farne le doti necessarie a un dire in versi sempre assai consapevole, ma poco mediato, esposto anzi, e di non comune autenticità autobiografica.

Luca Mozzachiodi (1992) è dottore di ricerca ed ha svolto attività accademica all’università di Bologna e di ricerca all’Università della Calabria, ha pubblicato numerosi saggi critici sulla letteratura italiana contemporanea e scrive per “L’Ospite ingrato”, “Il Manifesto in rete”, “L’Ulisse”, “Tricontré”, “Poesia del nostro tempo” e altre riviste scientifiche e blog letterari. Ha curato l’antologia Voci di oggi (Istos 2017) e pubblicato i libri di poesia Le strade di Gerico (Serra Tarantola 2013), L’arte della sconfitta (Qudulibri 2017) e Tempo stellare (Bertoni Editore 2024).