Andrea Italiano

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Q.B. PRIMO PIANO
Nota di lettura su La coca
Andrea Italiano (L’Arcolaio, 2021)

 

Capita, sempre più spesso, di leggere definizioni della poesia a dir poco rassicuranti: i versi sono, a turno, un giardino di delizie o un palazzo incantato, fontana di eterna superiorità morale o scintillante ornitologia da smartphone. Chi, invece, volesse rifuggire la sicurezza del locus amoenus per perlustrare più enigmatiche paludi, dovrebbe procurarsi il nuovo libro di Andrea Italiano, La coca, recentemente pubblicato dalla casa editrice romagnola “L’Arcolaio”. 

La coca è un libro scabroso e violento, “pop-porno” lo definisce Diego Conticello nella sua prefazione. Insomma, altro che fronde di ciliegio e olezzo di verbena: nella civiltà delle restrizioni pandemiche, dei conflitti bellici in diretta social, nella civiltà dello sfruttamento delle risorse, anche umane, la cocaina è senza dubbio un’immagine poetica più vera delle innocenti edulcorazioni di tanti poeti-peluches.

Il vero è la dimensione in cui Italiano si muove: una realtà cruda, un corpo di eventi raccapriccianti che lascia storditi. «Come si fa a non impazzire?» si domanda il poeta nel verso finale della poesia che apre la raccolta, dove l’indifferenza per i gatti schiacciati sull’asfalto è la stessa riservata agli esseri umani. Si è detto che i primi a impazzire siano proprio i poeti, specialmente nel Novecento, secolo dell’orrore nel corso del quale sono stati estromessi dal consorzio degli utili per approdare nel limbo degli hobbysti. Lo stesso vale, credo, per il nuovo millennio, e Italiano lo sa: i suoi versi sembrano dirci che la parte terminale del XX° secolo è diventata il fondamento del nuovo, «residuo eppure attuale», una metastasi. Ma Italiano non è folle, anzi, osserva con grande lucidità lo squallore contemporaneo, si compromette con esso: nella sua verità c’è il coinvolgimento da cui noi stessi ci chiamiamo fuori.

La coca è un reliquiario di reietti e dimenticati: le prostitute africane, lo spacciatore Felice che dà cocaina ai bambini, «questi figli disperati» che «sono diventati ciò che volevamo», gli immigrati ubriachi, anch’essi, forse, ciò che siamo nel recondito, l’autotrasportatore morto in un incidente, la transessuale ingannata dalla «bugia della felicità». Umani prede di altri umani, umani lupi agli umani, perché «le persone sono le bestie più feroci». In La coca l’umanità si confonde spesso con una bestialità declinata in vari aspetti: ci comportiamo esattamente come formiche che «accumulare devono cose da mangiare / neppure sveglie / e già rimettersi pesi sulle spalle». E, come le formiche della Ginestra leopardiana schiacciate «in un punto» dalla caduta di un «picciol pomo», forse anche noi verremo spazzati via dal terribile frutto della tecnica, non altro che la corruzione della nostra stessa natura.

E infatti, «come si fa a non impazzire»? Forse affidandosi alla scrittura, alla letteratura? Sarebbe una bella consolazione, ma «quelli che fanno letteratura spesso si sopravvalutano», rischiano di finire soffocati in un mare di petali di rosa come gli ospiti di Eliogabalo. «Ho passato tutta la sera a leggere Simone Cattaneo» non è un manifesto di poetica, ma di vita, e non può che concludersi con l’amaro ribaltamento: «ho passato un’ora a scorrere il dito sul cellulare / è diventato uno schifo questo modo di vivere». La «sera», tempo indeterminato della poesia, contiene una spinta creatrice anche nei presentimenti di morte, ma l’ora, l’attimo fugace di Facebook, annichilisce nel disgusto. L’istantaneità e la superficialità delle esperienze, di qualsiasi esperienza, abbattono le coordinate di spazio e tempo nel presente-prigione dei consumi: «nient’altro che non sia utile alla vita cercano / pensare giorno per giorno / non a ieri non a domani / solo a questo attimo adesso / questo è valore». D’altronde la società contemporanea rigetta il passato, scorre rapida sugli aggiornamenti dell’ultimo minuto, scarta ciò che è vecchio, che sia un libro o una donna.

Eppure tutto questo Italiano ce lo dice proprio in poesia, opponendo così la sua personale resistenza alle violenze della Storia. La coca è un libro di notevole consapevolezza: nella corsa verso l’abisso «c’è quello che c’è», osservabile con «occhi microscopi» che non possono mentire a se stessi e al mondo, per tentare di vedere, di comprendere. E comprendere è accogliere dentro di sé, a costo del sudore e del sangue, per onestà e umanità. La disillusione però non è cinismo, anzi, si rivela come un moto di pietà che, per non essere svilita in pietismo, resta pudica: la condizione umana è ormai quella dello «sprofondo», ma non è questo a essere «tragico», bensì il «voler essere felici». È la tragedia che offriamo ai posteri senza che molti nemmeno ne siano consci, testimoniando la nostra fragilità grazie a voci come quella di Andrea Italiano. 

Michele Donati

 

 

Felice mi parlava di spaccio
diceva che diversamente dai suoi tempi
oggi gira molta più coca che erba,
così lui spiega i bambini sballati di tredici anni
le ragazzine senza mutande a quattordici.
Non so se dice il vero magari Felice ha sognato
ma passando dallo scientifico tra casa-lavoro
mi sono fermato a guardarle queste formiche sciamanti,
le femmine sono più scaltre dei maschi
e ci credo che già se lo prendono appena escono di casa.
Li ho osservati bene questi figli disperati
sono diventati quello che volevamo
e la coca di Felice esiste,
siamo noi che gliela vendiamo.

 

***

A chi mi domanda che lavoro faccio
dico il domatore nei circhi
ma in un tempo e in un paese
dove le persone sono le bestie più feroci.
Ci sono giorni che non riesco
e mi salgono con i piedi in faccia
o mi ficcano le unghie nella carne.
Non era questo il mestiere che volevo
eppure era proprio questo
che per occhi microscopi mi ha dato
che entrano dentro i giorni negli abissi delle vite
dove c’è quello che c’è̀
un dio affamato c’è̀
un animale che muore di fame c’è.
Era proprio questo che volevo,
vedere l’origine di tutto e di tutti
capire tutto capire tutti.

 

***

 

Paragonando l’intera razza
al conducente di un mezzo diretto allo sprofondo,
ora accelerando
ora rallentando la corsa.
Non lo sprofondo è tragico,
voler essere felici è tragico

 

Andrea Italiano legge da La coca (L’Arcolaio, 2021)

 

per aquistare:

http://www.editricelarcolaio.it/home.htm
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