Daìta Martinez

Liturgia dell’acqua

(Anterem edizioni, 

2021)

*

le piace scaldare i fiocchi delle fiabe e la veduta
dei tabernacoli infranti nella cantina insistono e
sporcano i piatti le offerte e tutto il resto scaduto
d’umana gentilezza e negli sguardi imbarazzati i
fiori di melo come oggetti semplici di scena che
le piace sbriciolare lettera per lettera il nome mai
nome che scuoce il sole il bianco seno l’insonnia

 

*

fiorano fragili mani nostre i
nostri cuori più evidente sia
verità con acqua spromessa
ai confini immersa la radice
del villaggio per allora esile
grazia le girandole bambine
noi a chiocciola innamorate
noi del corpo frugate sperse
tu assenza me fronte di lato

 

*

il prato di latta ha margherite colorate nei
sogni dei bambini attesi al ballatoio stesi
su una minuscola foglia oltrepassata nella
sera giù a piccoli gorghi di silenzio trema
il tempo discosto in un fragilissimo inizio
sul grembo affamato di altra luna cadente
sul viso dove siedono i sogni dei bambini
dopo la questua la preghiera e quel finire
a mano il ricordo più lento odoroso vento
con occhi della piccola grazia ribelle alle
stelle pi n’anticchia di beni attummuliatu
rina rina dintra ‘a vucca ca scunta e nenti
cunta di lu scantu risorto al venuto bacio i
lividi rosa della rosa d’argento nascosta e
riposta sul taschino dell’inverno prima del
mare prima di andare ai sogni dei bambini

 

*

per disobbedienza cerco un riquadro inverso
al senso di una grazia unita e segreta all’ode
del perdono agli occhi intimoriti dallo stesso
seme e al risveglio un po’ di eterno grondare
delle rondini un’ora di more per confessione

Chi è il destinatario della scrittura poetica di Daìta Martinez, poeta siciliana geniale e perciò originale, qual è il processo subliminale che non le permette di sottrarsi a quello creativo, pena il silenzio e la menomazione del sé? Perché questa è la domanda che nasce scorrendo qua e là i suoi testi, composti da una trama e un ordito così fitti, da una tessitura così spiazzante che potrebbe rinviare a una seduta psicanalitica di altissimo livello. Scrive di lei in prefazione Maria Grazia Calandrone che “incide figure solide che non chiedono di essere capite, ma aperte come frutti di melograno e ascoltate”. Colpisce al primo impatto con la poesia di Daìta – e già il suo nome singolare pare un biglietto da visita – il pastiche di lingua, dialetto, espressioni idiomatiche, diminutivi (talvolta vezzeggiativi) che invita i lettori alla sua mensa – le sue parole sono pane per chi vuole cibarsene! – chiedendo di degustarne i racconti come pietanze, ciascuno cogliendo il sapore la temperatura il gusto i colori secondo la propria sensibilità: … pi n’anticchia di beni attummuliatu/ rina rina dintra ‘a vucca ca scunta e nenti…/. La sua scrittura è come una reazione a catena necessitata, ma non priva di controllo, dove un meraviglioso caos si espande dentro versi dall’aspetto unico e irripetibile all’interno di un’architettura che altri appoggi non ha se non l’orecchio e lo spirito della poeta che si mette in gioco con tutto il proprio essere fino all’ultima fibra: le piace scaldare i fiocchi delle fiabe e la veduta/ dei tabernacoli infranti nella cantina insistono e /sporcano i piatti le offerte e tutto il resto scaduto/ d’umana gentilezza e negli sguardi imbarazzati i/ fiori di melo come oggetti semplici di scena che/ le piace sbriciolare lettera per lettera il nome mai/ nome che scuoce il sole il bianco seno l’insonnia/. E si colgono in controluce sequenze memorabili fatte di vissuto remoto, percezioni, sentimenti, convincimenti, ideali, sensi di colpa, proiezioni, desideri: insomma tutto ciò che la rode o le canta dentro, il passato che l’inquieta, il presente incerto, ma anche una continua estenuante meditazione: una mano nella mano e la nostalgia/ dell’ultimo bottone madreperla a lei/ gli zigomi bagnati alla fioriera oggi/ che si spoglia di pioggia il cappotto/ cade sulle ali d’una rondine il canto/. Più volte ricorre il termine preghiera (in muta chiara preghiera, nella preghiera asciutta di tua madre, insieme a la tenerezza di Dio o l’incline pigolìo del cielo o il velo della croce); ma capita poi che quando siamo condotti sulla soglia di una rivelazione, dopo averne tastato il terreno in un climax coinvolgente e catartico, ci sia un’improvvisa sterzata, la distrazione verso altre immagini che lasciano a bocca asciutta. Qualcosa che Édouard Glissant in un suo famoso saggio chiamava “diritto all’opacità”, quella sorta di pudore o riserbo che ciascuno ha diritto di esercitare per difendere la propria intimità. La poesia lo contempla nella sostanza e nella forma facendo della metafora uno strumento privilegiato allo scopo. Nuclei lirici che si decantano in nuclei ritmici, abolita la punteggiatura perché un flusso di coscienza non vuole impedimenti di sorta. La dovizia di immagini, la fascinazione linguistica, la musica ne sono testimoni: non atterrare d’ombelico/ carezzami piano il cuore/. “Musica che precede il senso semantico ed è il segreto ascoltando il quale si sta vicini al segreto del poeta che scrive” commenta ancora Maria Grazia Calandrone. Certo richiede lentezza nella lettura questo libro e soste e ripartenze per ripararsi da abbagli e sinestesie ardite che agganciano in altezza e profondità nel basso continuo del creato.

Daìta Martinez, palermitana, ha pubblicato con LietoColle (dietro l’una), 2011, segnalata alla V Edizione del Premio Nazionale di Poesia “Maria Marino”, e nel 2013 la bottega di via alloro.  Vincitrice – sezione dialetto – del 7° Concorso Nazionale di Poesia Città di Chiaramonte Gulfi, è stata finalista, per l’inedito in dialetto, della 44° edizione del Premio Internazionale di Poesia Città di Marineo. Inserita nell’Almanacco di poesia italiana al femminile “Secolo Donna 2018”, edizioni Macabor, nel 2019 ha pubblicato la finestra dei mirtilli, suite poetica scritta a quattro mani con il poeta comisano Fernando Lena, Edizioni Salarchi Immagini, il rumore del latte, Spazio Cultura Edizioni, e nutrica, LietoColle. È vincitrice del Premio Macabor 2019 – sezione raccolta inedita di poesia – con pubblicazione, ‘a varca di zagara in dialetto siciliano. È presente in Anni di Poesia di Elio Grasso, puntoacapo Editrice, 2020. È stata finalista – sezione raccolta inedita – della 34° edizione del Premio Lorenzo Montano. Nel 2021 ha pubblicato Liturgia dell’acqua, Anterem Edizioni, Le madri, raccolta di haiku accompagnati dalle acqueforti di Vincenzo Piazza, Edizioni dell’Angelo; nel 2023 Miros de mureOdore di More, con traduzione in romeno di Eliza Macadan, Cosmopoli Edizioni, e nell’ora dell’aurora, Portosepolto-collana di poesia, peQuod edizioni. Ha ricevuto il Premio Francesco Carbone Experimenta 2023 per la poesia. Pubblica, nel 2024, con i poeti Franca Alaimo, Andrea Castrovinci Zenna e Pietro Romano, Il pettirosso rosso, raccolta di haiku, Giuliano Ladolfi Editore. È tradotta in francese, spagnolo, inglese e tedesco. Suoi testi sono inseriti in Contemporary Sicilian Poetry: A Multilingual Anthology, Italica Press.