La Dote dei Poeti
VALERIO GRUTT, NON UNA PAROLA MA UNA PORTA
A cura di Bianca Sorrentino
Dove non arriva la scienza, là sopraggiunge la Poesia, manifestazione cristallina d’amore e di vita che trascende l’anima oltre l’esperienza della malattia e della perdita. Inseguendo una traccia di luce, Valerio Grutt per i tipi di Interno Poesia discende nei sotterranei del dolore, quelli degli ospedali e delle case che sin dentro ai muri hanno assorbito i lamenti e le lacrime, quelli delle stanze dove il tempo pare immobile eppure un giorno soffierà via anche l’ultimo ‘ti amo’. Il poeta si muove come un monaco che scaccia le ombre e non rinuncia a sfidare con la gioia delle parole le tempeste incessanti, al tepore del sole delle piccole cose, mettendosi in ascolto della voce materna che chiama dalle stelle e sola sa ricucire lo strappo del vuoto. Forse la spada della poesia assomiglia a quella del santo che con la ferita del taglio unisce le città, avvicina il sentire.
Leggendo i tuoi componimenti, in particolare quelli contenuti nella prima sezione del tuo libro, Dammi tue notizie e un bacio a tutti (Interno Poesia) – che hai declamato nel corso del “Tres Dotes di Notte” –, si ha l’impressione che la poesia abbia il potere taumaturgico di ricondurre a una dimensione gioiosa persino un vissuto di sofferenza lancinante. È una prerogativa del verso oppure si tratta anche di mettersi in ascolto di qualcosa d’altro e di più alto?
Sicuramente non riguarda solo la poesia; ma penso che il viaggio del dolore, a volte, faccia sentire di più la vita. E quando senti di più la vita, in qualche modo ne percepisci anche la gioia, senti quell’energia scorrere. Il mio viaggio, lo faccio con la poesia perché è quello che mi riesce, è quello che mi è capitato, ma penso si possa fare in tanti modi, non è una questione solo artistica, ma profondamente umana.
Qui a Tredozio si respira forte l’anima del luogo; anche in te dimora un senso di appartenenza alla sacralità di certi spazi, alla magia che alberga nelle pietre e nelle grotte agli angoli del mondo.
Per me è una cosa molto naturale. Sono uno che scrive e cerca di farlo sempre con grande naturalezza; poi magari la riflessione arriva dopo, in un lavoro artigianale che faccio dopo. In qualche modo, quando scrivo i miei versi nascono dentro la terra che abito, che ho abitato, che è il luogo dove io sono nato. Questo per me è inevitabile e naturale.
La poesia va vissuta come un dono: se interpretiamo in questo senso il nome del Festival, Tres Dotes, quali sono, secondo il tuo sentire, le tre doti di cui un poeta non può fare a meno?
Forse la prima è l’ascolto, la capacità di mettersi in ascolto dei segnali che riceviamo ogni giorno – e questo serve nella scrittura, nell’arte, come nella vita di tutti i giorni, in qualsiasi percorso umano. La seconda potrebbe essere l’autenticità, quella dei bambini, il mantenere uno sguardo vivo e attento su tutto, pronto alla meraviglia, senza porci con giudizio o pregiudizio davanti a ciò che incontriamo. La terza è una dote che io non posso dire, ma è quella che ognuno nel profondo può sentire dentro di sé e riconoscere: riuscire a capire qual è il proprio talento, la propria voce. Non metto qui una parola, ma una porta, che ognuno deve cercare e aprire dentro di sé.