Leila Falà Magnini

Rumore di fondo

(puntoacapo Editrice, 

2023)

Meno volume

All’inizio era scoppiato il silenzio.
Rinasceva la parola con tutta la corte dei significati.

Ora ognuno dice qualcosa
e si deve nuovamente abbassare il volume
per tornare a un ascolto accurato
per tenere da conto le orecchie
trattenere quanto hanno captato.

*

Spessore del vuoto

Nel vuoto mancava la parola il coraggio il senso.
Non rimaneva che tracciare lo spessore di quel vuoto
così denso da poterlo toccare
così immenso da poterci sprofondare
sprofondare.

Essendo impossibile dire il vuoto e tutto il suo contenuto.

L’avrebbe chiamata assenza, ma
imponente era la presenza del vuoto, talmente
denso da potersi addentrare.
Unico sollievo la vacanza, dove era quasi ammessa
la mancanza, pur senza esagerare.

E dei giorni che ormai arrivavano al termine
rimaneva poco
da dire. Il vuoto se li era mangiati.

Dalla sezione Grammatica delle connessioni

 

 

Rumore di fondo

Mi chiedo a chi parlano
le persone in Facebook
i poeti dai loro libri
i vecchi nella loro filosofica demenza.

A chi parlate
amiche cattive
sorelle feroci?

Parla nei sogni al suo fidanzato
la zia morta nel sonno un inverno.

A chi parlano
gli spiriti degli indiani
le sirene di Ulisse
le sirene di Tim Buckley
le balene bianche dal profondo degli abissi?

Parla il fantasma ad Amleto
parla la sfinge a Edipo
parla il grillo parlante
e parla e parla
e si dice che parlasse Zarathustra
come lo maggior corno della fiamma.

Parlano o hanno parlato.

Ma io
io preferirei non dire altro
non altro ad altro ancora
per ora o per qualche tempo
non aggiungerei.

dalla sezione Rumore di fondo

Il Rumore di fondo che dà il titolo all’ultima raccolta di Leila Falà accoglie tra le pagine del libro una moltitudine di suoni, voci, apparizioni che attraversano lo spazio-tempo di un vissuto intento nell’avventura di scavalcare un secolo, o meglio un millennio, con la sua smisurata portata di cambiamenti. Anni segnati dalle rivolte, dai ricordi fuori da scuola, dalle confidenze femminili cariche di affetto: presenze minime che rendono quest’opera un universo corale in laborioso fermento, teso a risvegliare il torpore in cui si crogiola la nostra coscienza.

Immagini, segni, frammenti che compongono la colonna sonora di una quotidiana corsa verso l’ignoto – corsa a cui tutti siamo chiamati, una volta approdati nell’età adulta – mentre si insinuano dubbi, questioni cruciali che cerchiamo puntualmente di evitare, mentre siamo occupati a scovare cose negli angoli nascosti dei nostri appartamenti. È qui che persiste e si amplifica il rumore di fondo: quel basso continuo che desideriamo costante, che nutre le nostre ore e in qualche modo ci salva. Perché il silenzio fa paura, come un ordigno che deflagra e sconvolge. Silenzio significa fermarsi, aspettare, guardarsi dentro, ascoltarsi … con coraggio affrontare “il vuoto e tutto il suo contenuto”. Significa mettere in conto che quel vuoto ci può divorare:

Fornisce scuse inestinguibili per restare fermi la paura.

Stare dove nulla cambia. E morire zitti zitti
senza dire altro.

Con una freschezza quasi inedita nel panorama contemporaneo, e grazie all’uso sapiente delle figure retoriche, questa scrittura ha il pregio di provocare il lettore: lo mette a disagio, nella posizione scomoda di chi si scontra con la bruciante sensazione della mancanza, della solitudine, dell’abisso. Come sottolinea Maria Luisa Vezzali nella puntuale postfazione al libro, il concetto di vuoto ritorna con frequenza nei versi di Leila, con le sue molteplici declinazioni: “è una scrittura della lacuna, degli «abissi differenti», quotidiani, quelli che senza sublimità romantiche aprono progressive crepe nelle nostre vite normali”.

Con un velo d’ironia che si dipana tra la varietà delle rime e dei giochi di parole, la poesia ci pungola, obbligandoci ad alzare lo sguardo, per metterci in ascolto di quello che realmente accade e che ci spaventa. L’autrice scrive con l’intelligenza giocosa di certi maestri che hanno segnato la nostra Letteratura, portando a riflettere, con leggerezza, su questioni molto serie: penso a Rodari, a Munari, a Tognolini. Nella sua officina, la poetessa di origine marchigiana – bolognese di adozione – mette a frutto ciò che ha segnato il suo percorso di formazione e studio: il teatro, la ricerca, la sperimentazione, le nuove forme che la poesia ha assunto negli anni Settanta e in seguito, in letteratura e nel mondo dell’arte in genere.

Tra una battuta amara e un verso arguto, che spesso si trova a chiudere i componimenti, ci si scontra con la voragine che attanaglia il presente, con l’indifferenza irretita nei silenzi che nessuno vuole cogliere, con gli involucri ingombranti che impediscono lo sguardo – “Più grande è l’involucro e più / grande si fa quel buco dentro.”  – sguardo sferzato a tratti da situazioni di ordinario abbandono:

Dalle scale chi passava vedeva la sua cucina
così intima, ora aperta, spalancata,
il pudore della vita personale condivisa.
Ho visto tutto anche io
ma non so chi fosse veramente lui.

Eravamo lì, in una vita estranea
congiunti in una morte. Una.

Di pagina in pagina il libro entra in empatia col lettore, lo prende per mano e lo porta a commuoversi, a ridere, a versare una lacrima. Racconta con lucida sensibilità ciò che accade nel teatro delle case e delle strade; registra e riporta ciò che non si deve tacere, che sia disperazione oppure gioia. Dichiara quanto il nostro mondo così social, connesso, esibito con pose ammiccanti e confidenziali sia in realtà spietato, perché distanti ed estranee sono le nostre vite, capaci di accorgersi dell’altro nei momenti più estremi, come nella morte che in qualche modo “unisce”. Siamo fragili e questo è il grado più alto di una umanità ritrovata: quando ce ne rendiamo ci troviamo sull’orlo di un precipizio, mentre avvertiamo il male dell’altro, che facciamo nostro: “Eppure ho male e so bene perché.”

A completare il quadro sulla scena quotidiana, concorre una poetica degli oggetti: piccole cose che popolano lo spazio, a cui ci aggrappiamo per sentirci vivi, che ci inducono a sperare che qualcosa resterà, oltre la nostra permanenza terrena. Come se la corsa giornaliera potesse consumarsi senza lasciare traccia di noi; per questo sentiamo necessario un appiglio che ci metta al sicuro (produci, consuma, crepa… cantava qualcuno).

A scompigliare l’ordinaria e l’ordinata trafila delle piccole cose e dei soliti gesti intervengono i grandi temi del pensiero umano: lo scorrere del tempo, l’affanno per raggiungere la felicità, la morte. La ricerca del senso di ogni cosa, su cui l’individuo da sempre si interroga e per cui la poesia non cessa di cercare risposte, ponendosi ancora una volta, e oltre il rumore di fondo, in ascolto fino a percepire “il cuore che nelle orecchie frusciava/ per farsi compagnia”.

Leila Falà

Nata ad Ancona nel 1956, si è formata nell’humus culturale e politico dei movimenti studenteschi e femministi di fine anni 70 a Bologna, studiando al Dams con G. Scabia e alla scuola di Teatro Galante Garrone, ha collaborato a fondare il Centro Documentazione delle Donne di Bologna, e a fianco di diverse attività, dalla comunicazione al teatro, attrice per diversi anni, ha lavorato all’Università come impiegata.  Fa parte dal 2006 al 2016 del Gruppo ’98 Poesia e dal 2015 al 2021 della redazione della rivista “Voci della Luna”; dal 2017 fa parte del gruppo dei Narratori della strage del 2 agosto; fa parte della SIL – Società Italiana delle Letterate. Ha pubblicato Rumore di fondo Puntoacapo; Prontuario lirico di autodifesa muliebre, 2022, raccolta di quattro sillogi delle autrici: A. Carnaroli, L. Falà, F. Genti, A.Toscano Edizioni Sartoria Utopia, 2022;  Certe sere altri pretesti l’e-book con la Recherche. Della Propria voce (Qudu2016) Antologia del Gruppo 98 poesia, curatela; Mobili e altre minuzie (Dars 2015); Oggetti (in memoria della strage di Ustica) in È negli oggetti che ti ricerco (Corraini, 2013); Cosa pensano lei e lui quando non parlano più d’amore testo teatrale messo in scena con Il Gruppo Libero Teatro, 2005. Niente politica, tutta famiglia. Monologo per attrice sola, testo teatrale messo in scena con Il Gruppo Libero Teatro, 2007.