Mauro Ferrari

Seracchi e morene

(Passigli, 

2024)

Pandemie
a Mauro Macario

Però non sai, non sai davvero
di un nemico che respiri
nell’aria come il polline di aprile,
perché del male conosciamo
solo i germi invisibili e assassini,
o le sfilate di bandiere e carri armati,
l’unta retorica del coraggio
e l’eroismo della mira scrupolosa.

Ma se ti azzardi alla finestra
lo vedi, il panorama di macerie
monumento di tecnocrati e oligarchi,
e percepisci quanto è diafano
ma acuminato il male
che incista in tutti noi
la pandemia del cuore e delle menti

(le strette di mano rifiutate,
i cenni obliqui, le pacche sulle spalle
degli spacciatori di speranze e verità,
i bivi che conducono
a laghi senza fondo e silenziosi,
a muri e paludi)

e infine riconosci quanto sia difficile,
sotto le bombe come siamo tutti,
discutere di bene e male,
di vittime e carnefici.

***

La luna è sul seracco, il padre altissimo
della morena che è la nostra casa –
un padre fragile, che lentamente
si allontana verso il cielo
e che può sciogliersi in un’apocalisse.

Abbiamo radici delicate,
fiori che il vento scompiglia e il nulla tenta.

Tragicamente, crediamo nel domani.

 
***

Molte sono le cose,
le vite e le storie
che senza voce e senza volto
scorrono negli anni
andando in nulla –


il nulla che
non può fare a meno di pensare:
e noi è il suo pensiero.


***

Da “La spira” , VI


[…] E con che sogni e con che mani,
con quali occhi e cuore costruire – cosa,
senza sporcarsi il corpo e l’anima?
Cemento e acciaio, plastica:
forse non c’era spazio
per fughe dalla pazza folla,
dall’incivile civiltà che brucia:
chi tentò percorse anni in cerchio
in una fuga nel deserto –
e s’annegò alla prima oasi.

[…]

La tua colpa è solo non vedere il bene

L’ultima raccolta di Mauro Ferrari, Seracchi e morene (Passigli, 2024), si pone a compendio del percorso poetico dell’autore. Articolata in quattro sezioni (Sotto le bombe; Seracchi e morene; Infine e La spira), l’opera assume l’aspetto formale di una grande struttura sinfonica i cui movimenti sono a loro volta internamente regolati da dinamiche, tempi, tonalità sapientemente calibrati. I versi sono animati da una tensione etica che va oltre quella che si direbbe poesia civile: seracchi e morene sono formazioni di ghiaccio e detriti, risultanze di processi millenari e quindi immagini del mutamento cosmico e della condizione universale. Nel libro ricorrono queste e altre figure del paesaggio, allagamenti, cataclismi, epica industriale, teatri di guerra e improvvisi squarci di misteriosa quiete, in un accorto intarsio con una soggettività diffusa, che tende alla dissoluzione nel tutto.
Un aspetto fondamentale della scrittura di Ferrari è l’icasticità. Per certi versi – con le debite, inevitabili differenze – si può richiamare alla memoria anche l’impeto di Roversi, la sua poesia tesa a far deflagrare la tradizione in un espressionismo figurale organizzato, dove l’eco del metro ne amplificava la portata, le sfumature, le variazioni possibili, sfondo di un discorso reale, storico, politico e filosofico. Affinità che più che altro consente di argomentare l’appartenenza di Ferrari a una linea di poesia non in linea, una poesia che in molti, per semplificare, definirebbero civile ma che non rinuncia alla sua dimensione letteraria, non si accontenta di descrivere una realtà particolare, di denunciare il male, tenta anzi una risposta etica profondamente consapevole dei limiti dell’uomo senza per questo insterilirsi. Una scrittura, dunque, che vola più alto della portata sindacale di molta poesia cosiddetta civile, abbracciando dimensioni di ampiezza universale. Chi ha già scritto di questa raccolta, ha debitamente segnalato i punti di tangenza con la tradizione: Dante, Leopardi, Pascoli, Montale, Eliot. 

La lezione etica (“[… ]ché la tua colpa è solo/ non vedere bene – non vedere il bene”) sembra riportare all’intellettualismo socratico: chi conosce il bene non può che sceglierlo, il male è ignoranza. Ma la bellezza e la salvezza si rifugiano negli spazi interstiziali: la breve luce tra due notti, l’estate costretta fra due inverni. Un intertempo misterioso e tragico da cui scaturisce anche la poesia: una poesia generosa, dove il cesello lessicale dà vita a versi carichi di immagini e sensi. Una ricerca del bello e del bene sofferta, maieutica, che non a caso si manifesta nell’esposizione di immagini apocalittiche, nella visione sublime di movimenti naturali che atterriscono, nel presentimento di qualcosa di enorme ed imminente, ma anche nella sua rievocazione e nella sua negazione, fino ad asciugarsi nella straordinaria meditazione sulla roccia (“La roccia non ha mai scoperto/ di non essere viva”) contenuta nella seconda sezione, punto di caduta dell’annichilimento del tutto, manifestazione materica dell’ipostasi della perfezione. Ne sortisce una dialettica estremamente frastagliata tra scrittura e mondo, in cui la sintesi poetica riassume tensioni antitetiche – si veda quella irrisolta fra vittima e carnefice – e sposa un atteggiamento di dubbio, da intendere nel senso proposto da Pontiggia quando, nella prefazione, indica la poetica di Vittorio Sereni: “[…] e infine riconosci quanto sia difficile,/ sotto le bombe come siamo tutti,/ discutere di bene e male, /di vittime e carnefici”.

Il poemetto “La spira”, che conclude la raccolta e ripropone un testo già ben noto di Ferrari, può situarsi in un luogo preciso nella geografia e nella storia – quello dell’ex Ilva di Novi Ligure – ma il movimento del filo di fumo industriale appare per astratto come un vortice espansivo in dissolvimento, dopo aver abbracciato una vastità vertiginosa di possibilità. Questo d’altronde è in sintesi il movimento del poemetto stesso, che è un canto sulla disillusione e l’idealismo, ma – così pare – anche quello della storia, dell’uomo e dell’universo. 

Mauro Ferrari (Novi Ligure, 1959) è una presenza importante nel panorama della poesia di oggi, sia come direttore editoriale di puntoacapo Editrice, sia come poeta egli stesso. Ha pubblicato: “Forme” (1989), “Al fondo delle cose” (1996), “Nel crescere del tempo” (2003), “Il bene della vista” (2006), “Il libro del male e del bene” (2016), “Vedere al buio” (2017), “La spira” (2018).
Di grande rilievo anche il suo lavoro critico e narrativo. Ricordiamo la raccolta di saggi “Civiltà della poesia” (2008) e i racconti di “Creature del buio e del silenzio” (2012). Ha fondato e diretto fino al 2007 la rivista letteraria «La clessidra» e ha collaborato alle riviste «margo» e «L’altra Europa». Ha curato diverse antologie, tra le quali “L’occhio e il cuore. Poeti degli anni ’90” (2000), “Dove va la poesia?” (2018) e “Il posto dello sguardo” (2021). Ha diretto l’”Almanacco Punto della Poesia Italiana”, edito da puntoacapo e ora cura la sua evoluzione online, il sito www.almanaccopunto.com.
È membro di diverse giurie di premi letterari ed è stato direttore culturale della Biennale di Poesia di Alessandria; attualmente, presiede la Biennale Italiana di Poesia fra le arti.
Come anglista si è interessato, con traduzioni e saggi, di poeti inglesi contemporanei. Suoi testi e interventi sono apparsi sulle maggiori riviste italiane e straniere.