Michel Butor
Pour tourner la page
(Actes Sud,
1997)
Il potere si esprime attraverso la scrittura, dice Butor nell’intervista che fa parte della miscellanea “Pour tourner la page” e di cui si dà qui una traduzione a cura di Anna Maria Carroli. Pensiamo al codice di Hammurabi, con le leggi babilonesi incise una volta per tutte nella pietra nera 38 secoli fa; poi pensiamo all’iperscrittura di oggi, al flusso superficiale ma costante di informazioni che direziona la percezione della realtà. Un arco cronologico di tempo abissale quello della trasmissione scritta della conoscenza, su cui Michel Butor nel 1999 tentava proposte ermeneutiche intuendo direzioni future e leggendo la tradizione. Una riflessione sull’oggetto libro, la sua funzione storica e la sua mutazione, colta quest’ultima nel passaggio fondamentale tra un millennio e l’altro, corrispondente a un cambiamento di paradigma – verso il virtuale e la smaterializzazione – ancora in atto. Un quarto di secolo fa le novità erano «il disco magnetico, il cd-rom» così come oggi potrebbero esserlo l’intelligenza artificiale, i media digitali. Nel mito di Theuth che conclude il dialogo platonico Fedro, l’alfabeto è l’unico dono della divinità che il faraone Thamus rifiuta: conoscere attraverso la scrittura – dice – significa concedersi la possibilità dell’oblio, poiché il ricorso alla grafia è come drogare la memoria; conoscere per tradizione orale e aurale corrisponde invece al vero dominio della memoria, è un rapporto simbiotico. Cosa penserebbe il faraone dell’iperscrittura contemporanea, perennemente a disposizione, persino invasiva? Rifiuterebbe il dono dei media ubiqui, lo inquieterebbe la pubblicità, scomunicherebbe ChatGpt, additerebbe l’occhio di Google come nemico a quello del Sole. Direbbe: «Sono fonti di ignoranza ammantate di conoscenza».
Butor, dal canto suo, ha sperimentato con la forma grafica, ha sondato le possibilità di una trasmissione della conoscenza pienamente a suo agio nel reame dello spazio (la scrittura) ancor più che in quello del tempo (l’oralità), e le sue osservazioni sull’oggetto libro, sulla sua storia e il suo futuro, colgono aspetti che si sarebbero rivelati profetici prima di quanto egli stesso potesse immaginare nel ‘99. Butor capisce che il mutamento di cui osservava le prime convulsioni è figlio dell’invenzione della stampa e che la sua archeologia risiede in Theuth, in Hammurabi.
Leggere l’intervista qui tradotta da Carroli può spingere a queste e ulteriori riflessioni, anche perché in 25 anni saranno cambiati i termini del dibattito, ma non la sua natura. E più di uno che all’epoca nemmeno era nato si riconoscerà già, con anticipo, in questa profezia: «Fra cinquant’anni si andrà in estasi sulla tinta pastello di una certa categoria di schermo, sulla rugosità o la levigatezza di una certa tastiera, di un certo mouse, di un certo contenitore».
Michele Donati
VII
LA PAGINA DEL LIBRO-OGGETTO
LUCIEN GIRAUDO: Qual è il posto del libro nella società contemporanea? È un posto in apparenza assai stabile, ma che diventa sempre più fragile. Vorrei anche sapere qual è la Sua visione del libro nel futuro.
MICHEL BUTOR: Il libro è un cantone di questa regione molto più vasto dello scritto. Quest’ultimo gioca un ruolo enorme nella nostra società; tutto gira ancora intorno a lui. Il potere si esprime attraverso di lui: le amministrazioni, i ministeri, le industrie sono delle enormi fabbriche di testi scritti. Sono in generale di una noia insopportabile e distrutti molto rapidamente. La nostra epoca ha il privilegio di aver inventato delle macchine concepite apposta per distruggere i testi. Molte di questi non escono mai dal luogo nel quale sono stati prodotti. A volte sono riuniti in volumi; sono degli elenchi, dei rendiconto di produzione. I best-sellers e le opere più consultate sono in effetti gli elenchi telefonici.
Siamo ancora sotto il regno del libro, ma il supporto dei testi sta cambiando nelle nostre istituzioni. Poco tempo fa c’era la carta, adesso c’è il disco magnetico, il CD-Rom, eccetera. Questo considerevole cambiamento è come principio un miglioramento. La manipolazione di questi nuovi supporti molto più leggeri è più facile e dovremmo guadagnare del tempo. Non è ancora davvero il caso oggi, perché siamo all’inizio di questa nuova età e molti non sanno utilizzare questi nuovi mezzi; fanno fatica ad adattarsi. I cosiddetti nuovi mezzi non sono per contro completamente a posto. Vi sono perciò delle delusioni. Ci dobbiamo arrangiare affinché ci sia davvero un miglioramento.
La situazione dell’oggetto-libro tradizionale, così come l’abbiamo conosciuta dall’invenzione della stampa, sta cambiando; si può dire che tutto il resto dipende dal modo in cui questa trasformazione avverrà.
In letteratura i libri cambiano anche, ma più lentamente. Si pubblicano sempre dei romanzi, si ripubblicano i classici su della buona vecchia carta. Gli editori sono abitudinari. D’altra parte, l’inserimento del libro nella nostra società è molto complesso. Tutta una serie di mestieri è implicata nell’industria del libro, e questo produce un’entropia considerevole. Bisognerebbe quasi che tutti questi gruppi di mestieri evolvessero nello stesso tempo ed alla stessa velocità, cosa che è praticamente impossibile.
G.: Chi legge instaura una relazione affettiva con l’oggetto-libro. Come si può immaginare che questa affettività possa nascere anche di fronte allo schermo di un computer?
B.: Se esaminiamo il passato del libro, vediamo che ha cambiato molto la forma. Il passaggio dal volumen, dal rotolo, al codex ha già provocato dei considerevoli cambiamenti d’abitudine. Molti all’epoca sono certamente stati dei nostalgici dei rotoli. Poi a poco a poco hanno riconosciuto i vantaggi del libro attuale. Allo stesso modo ci sono stati dei nostalgici del manoscritto al momento in cui la stampa si è sviluppata ed imposta. Si è continuato inoltre in certi campi ad utilizzare il rotolo mentre il codex era diventato la norma. Durante secoli la stampa supponeva il manoscritto; lo scrittore lavorava con la sua piuma. Oggi certi spiriti curiosi si rimettono a lavorare sul rotolo o sul manoscritto. Si possono comunque riprodurre molto più facilmente utilizzando la serigrafia o l’offset, o la registrazione su computer.
G.: Fra la manipolazione di un libro-oggetto ed un computer c’è comunque molta differenza. C’è quasi una materializzazione, in ogni caso un approccio meno concreto. Penso al passaggio di Sartre che in Le Mots, ci parla dell’odore di fungo che esala dai libri e del rumore che fanno quegli stessi libri quando suo nonno li fa scricchiolare come delle scarpe; c’è tutto un universo di sensazioni che rischia di cancellarsi con l’uso del dischetto o del CD-Rom.
B.: C’è certamente una differenza. I dischetti non scricchiolano come delle scarpe, ma hanno la loro propria sensualità. Anche i computer sono in piena evoluzione. I libri si stanno integrando al computer, ma abbiamo un’immagine di quest’ultimo che non corrisponde a quella che avremo fra qualche anno. I computer d’oggi sono ancora manipolati come quegli oggetti di transizione di cui ci si serviva nelle biblioteche (di cui ci si serve ancora) per leggere gli antichi libri: i lettori di microfilm, di microschede, eccetera. Quando in una grande biblioteca desidera consultare un quotidiano dell’inizio del secolo, non Le si porta più un fascio di fragile carta, ma una microscheda. Non è che quando fa una ricerca specialistica, sulla carta per esempio, che potrà consultare il documento stesso. I computer d’oggi hanno ancora un certo peso. C’è un considerevole sviluppo dei computer portatili che non sono che una tappa verso quelli che avremo fra qualche tempo, paragonabili come misura a quella dei libri d’oggi. Si potranno leggere nella metropolitana su computer tascabile le opere complete di Balzac. Il volume sarà lo stesso di quello di un testo della “Bibliothèque de la Pléiade”. Si volterà pagina per mezzo di qualche bottone. Si leggerà nello stesso modo.
All’inizio i manoscritti medioevali erano molto ingombranti, difficili da trasportare. Se ne sono prodotti di volta in volta più piccoli, e di volta in volta più preziosi, perché bisognava produrre molte pagine sottilissime; orbene vi era un considerevole lavoro nell’assottigliare i fogli di pergamena o di cartapecora. È l’invenzione della stampa che ha reso il libro praticamente trasportabile.
I computer tascabili non avranno lo stesso odore dei nostri libri di carta, non faranno gli stessi rumori. Ma confessi che per il momento pochissime persone sono attente a questi aspetti. Attraversano velocemente questi approcci per arrivare al testo che gli sarà dato attraverso i computer in modo almeno altrettanto comodo. Nuove abitudini e nuove seduzioni si svilupperanno. Le superfici sulle quali si legge adesso sono in cristalli liquidi che possono far apparire delle sfumature diverse. Fra cinquant’anni si andrà in estasi sulla tinta pastello di una certa categoria di schermo, sulla rugosità o la levigatezza di una certa tastiera, di un certo mouse, di un certo contenitore.
Questo non impedirà che si posseggano sempre dei libri di carta e si esplorerà davvero ciò che è questa materia sorprendente, ciò che offre come possibilità, il suo legame con l’ambiente. Si smetterà allora di distruggere le foreste la cui sparizione drammatica avviene prima di tutto per la necessità di produrre carta a buon mercato per stampare dei giornali, dei testi pubblicitari o amministrativi.
G. : Per ciò che concerne la fisica del libro, Lei stesso ha esplorato certe possibilità del libro. Ad un certo punto non si è più accontentato di fare libri che cominciavano in alto a sinistra e si concludevano in basso a destra. Ha cominciato a manipolare lo spazio del libro. Vi è una prospettiva futurista, per mostrare le capacità del libro antico rispetto alle nuove tecniche?
B. : Ho sviluppato queste ricerche quando mi sono reso conto che il libro attuale stava cambiando. Mi sono detto che era il tempo di sapere ciò che si sarebbe potuto fare con quell’oggetto là. Perché stiamo per passare a un’altra forma di libro, ed è buono; ma il miglioramento possibile non è automaticamente a causa di tutte le perdite che rischiano di prodursi nel corso del processo. Bisogna che ci arrangiamo perché il libro futuro, questo oggetto diverso che cominciamo a scoprire, possa ereditare il maggior numero possibile di aspetti dell’oggetto precedente, perché non si abbia bisogno un giorno di fare degli sforzi immensi per recuperare delle dimensioni perdute. Cercando ciò che si può fare ancora con il vecchio libro, lo giustifico rispetto al libro di domani e obbligo quest’ultimo a migliorarsi, a rivaleggiare con le possibilità del libro precedente. Sono cosciente delle nuove possibilità del computer portatile, ma so anche che coloro che progettano il libro-macchina di domani hanno spesso poca affezione al libro antico ed alla letteratura in generale. Sono puntati sulla “letteratura grigia”, sul testo amministrativo, bancario, politico, sul mondo degli affari che, nella nostra società, è considerato come il modello del resto. Al tempo di Napoleone si considerava l’esercito come il modello del resto. Oggi un governo, un’università devono essere concepiti in termini di impresa, cosa che a mio avviso è completamente sbagliata. È un malinteso profondo, ma ci conviviamo. Prima si diceva: “gli affari sono affari”; oggi si dice : “gli affari sono tutto”.
I libri–macchina sono concepiti non con l’intento della letteratura, ma in funzione della logica dell’impresa. Eppure possono salvarci da questa tirannia, perché si sta sviluppando, avrei voglia di dire il loro “inconscio”, ma si può anche dire il loro inverso. Siamo delle macchine specialmente complicate e che conosciamo molto male. Abbiamo i nostri inversi e le altre macchine anche. Stanno sviluppando i loro inversi in complicità col nostro inconscio; o, se preferisce, il nostro inconscio sta sviluppando sempre più delle funzioni inattese in relazione con quel genere di macchine.
G.: E questa esplorazione del libro, come Lei l’ha attuata, poteva apparire solo in un secolo come il nostro. Ma ogni scrittore ha potuto, a suo modo, rinnovare il libro?
B.: Ogni grande scrittore ha rinnovato la letteratura; è per questo che è grande. Questo rinnovamento non può restare all’interno della sfera letteraria perché questa è in relazione con tutto. All’interno di detta sfera, molti scrittori, in tutto il corso della storia, si sono preoccupati della fisica del libro. Già nel Medioevo, nei manoscritti, poi a partire dall’invenzione della stampa. Prendiamo al XIXesimo secolo l’esempio caratteristico di Charles Nodier con Le Roi de Bohème et ses sept chateaux (Il re di Boemia e i suoi sette castelli).
G.: Queste esplorazioni tipografiche non erano considerate come secondarie perché troppo ludiche? Mentre oggi, per ciò che Le concerne, non si ha l’impressione che la Sua opera apparterrà a questo secondario solco di fine del XXesimo secolo.
B.: La situazione del libro è molto più critica oggi che al tempo di Nodier. Allora il libro stampato, come lo si conosceva, non era minacciato da nulla. Al contrario assicurava sempre di più la sua egemonia con lo sviluppo dell’educazione e della lettura.
Alla fine del XIXesimo secolo e all’inizio del XXesimo, le ricerche di Mallarmé, Apollinaire o Cendras sono legati alla riflessione sulla stampa “atmosferica”, quella a cui si è confrontati quotidianamente quando si abita una città: il mondo della pubblicità, i manifesti, le propagande, le insegne. Già Balzac, in César Birotteau, studiava questo tipo di scritti mentre il personaggio lavora alla presentazione dei suoi prospetti pubblicitari.
G.: Ma si potrebbe risalire a Rabelais.
B.: Oppure a molti altri del XVIesimo secolo; ma il movimento si è sviluppato sempre di più fino al XXesimo, perché è in quel momento che l’invasione dello scritto nel paesaggio diventa molto forte. C’erano già molte iscrizioni nelle città nel XIXesimo secolo. Basta, per convincersene, guardare le fotografie di Atget, ma quando si lasciava la grande città, si lasciava anche l’iscrizione. Oggi, nelle nostre regioni, essa è dappertutto, ciò dipende come è noto dallo sviluppo della rete stradale.
G.: Ma nella Sua opera questa esplorazione del libro e dello spazio letterario è divenuta centrale.
B.: Ho guardato molto a ciò che avevano fatto gli altri, e non semplicemente gli scrittori occidentali. Ho cercato di issarmi oltre la palizzata per vedere un po’ come le cose avvenivano in altre culture. Vi sono certi aspetti che non si possono semplicemente tradurre nel nostro sistema di scrittura o di pubblicazione, ma li si può trasporre trasformandoli, facendo dei giri; questa attitudine esplorativa permette di scoprire molti cammini inesplorati.
G.: Questa attitudine che è stata la Sua ha comunque incontrato delle difficoltà di ricezione: molti lettori non L’hanno seguita. I romanzi che si vendono bene ogni anno sono l’eredità del XIXesimo secolo; ma il Suo modo di concepire la letteratura ha disorientato e non ha incontrato un largo pubblico. In questa prospettiva, il libro-macchina, presentato sotto forma di computer, permetterà alla letteratura corrente di sussistere o imporrà delle ricerche vicine a quelle che Lei ha condotto?
B.: I computer giocheranno un grande ruolo per diffondere la letteratura classica. Potranno anche proporre i romanzi correnti che mirano ai premi letterari. Non ci saranno problemi. Ma a poco a poco si scopriranno delle possibilità proprie a questi nuovi strumenti ed appariranno come talmente forti che la maggior parte di ciò che si fa oggi diverrà desueta. La maggior parte dei libri attuali sono d’altronde desueti in partenza. Un libro che ha avuto un premio è sicuro di avere nell’immediato una forte vendita, ma è in generale dimenticato molto presto. Un tale libro resterà a disposizione dei ricercatori che vorranno sapere come funzionava l’impresa libraria nel corso degli ultimi anni del XXesimo secolo. Il grande pubblico, invece, si disinteresserà di quel tipo di libro.
Traduzione dal francese a cura di Anna Maria Carroli
Michel Butor (1926-2016) è uno dei più celebri scrittori, poeti e saggisti francesi del Ventesimo secolo. È stato considerato, insieme a Alain Robbe-Grillet, uno dei fondatori del Nouveau-Roman da cui si distanzia presto per arrivare a opere dalle molte forme, sintesi di vari generi letterari: di arti figurative, di musica, di poesia e di etnologia. I suoi libri, strutturati in modo combinatorio, obbligano il lettore a una vera e propria attività di riscrittura, nella prospettiva di una interpretazione e trasformazione del reale.
Oltre ai romanzi a cui deve la sua fama (Passaggio a Milano, 1954; L’impiego del tempo – Premio Fénéon 1957; La modificazione -Premio Renaudot 1957), ottiene importanti riconoscimenti nel campo della Letteratura ( Gran Premio per la Letteratura dell’Accademia Francese per tutte le sue opere- 2013) e della poesia (Premio Mallarmé-2006, Gran Premio Poeti della SACEM-2007, Gran Premio della Poesia del SGDL – 2016).
La voglia di sperimentare per raccontare il mondo si ritrova in tutte le sue opere. Ha inoltre collaborato con un gran numero di artisti visivi per la produzione di libri-oggetto (il libro perde la funzione di veicolo del linguaggio per diventare esso stesso messaggio) e di libri-d’artista (luogo d’incontro tra un artista plastico e l’autore, in cui si fondono i linguaggi plastici e verbali; gli autori, e a volte anche l’editore, scelgono deliberatamente la forma in cui inserire l’opera svincolandosi dalla produzione seriale); il loro numero si avvicina a 1500.