Mary de Rachewiltz

Processo in verso - Tutte le poesie italiane

(Bertoni Editore, 

2024)

Mary de Rachewiltz è conosciuta dai più per essere la figlia di Ezra Pound, fondatore del modernismo poetico novecentesco, oltre che per la traduzione dell’opera monumentale del padre, i CANTOS (uscita in versione integrale nel 1985 nel centenario della sua nascita), alla quale aveva lavorato per circa trent’anni, e di numerose altre traduzioni. La sua personale opera poetica, iniziata con Vanni Scheiwiller nel 1965, proseguita nell’anno successivo e poi nel 1973 e nel 1996, continuata con altre due sillogi accolte da Raffaelli editore rispettivamente nel 1994 e nel 2002, è forse meno conosciuta, fatta eccezione per gli addetti ai lavori. Questo volume fresco di stampa e di ampio respiro intende restituire a Mary de Rachewiltz il giusto riconoscimento e la conseguente meritata notorietà. Curato da Massimo Bacigalupo, saggista e traduttore, già insegnante di Letteratura americana all’Università di Genova, con l’ausilio di Paolo Pera nella progettazione e nella cura redazionale, è composto da cinque sillogi oltre a versi dispersi degli ultimi anni. Quasi un romanzo per la sua gestazione, certamente un continente/viaggio con tanti passeggeri che salgono e scendono alle varie fermate della sua vita. Da menzionare nel suo curriculum poetico anche due sillogi in inglese “Whose World?” e “For the Wrong Reason”. E chissà cos’altro avrà concepito e annotato nel frattempo tra percezioni, intuizioni e riflessioni, movendo dal paesaggio del Tirolo dove vive, fonte di sempre nuove scoperte (“il nuovo si scopre non s’inventa” diceva il nostro Giovanni Pascoli) e risonanze nella sua interiorità. <<In tutto l’illuminato soffrire / che io non seppi arginare / restasse intatto almeno il ricordo / della tua favola sul Montevivo / dove le farfalle riposavano>>. Conviene partire da qui, da questi pochi versi che chiudono il componimento “Accomuna talvolta il Tommaseo”, che subito ci orientano sulla postura morale di M. de R: <<Qui noi villane ridiamo / dei beceri e dei tordi / che non sanno zufolare / o schioccar a bocca storta / la lingua al baio>>. Ilnoi” la colloca immediatamente tra le villane dove è cresciuta e ha imparato l’essenziale della vita a contatto con la natura, gli animali, gli uccelli (notevole la sua competenza ornitologica!). Essi l’accompagneranno per tutta la vita, quasi exemplum e guida orientante, come chiarisce nel testo “Le capre m’accompagnano”, titolo e incipit lapidario che procede nel secondo verso <<meste più di un vero Chagall>> aprendo il campo ad altre capre incontrate in luoghi impensabili in un’era di voli spaziali, il cui tintinnio smussato <<ricorda le voci di un tempo /italiane in salotto fra l’odore / di sigari, voci rauco-nasali, / ardue da afferrare in traduzione>>. Le villane tra le quali si colloca a buon diritto e con agio acquistano qui una superiorità morale che nessuno può permettersi di scalfire. Nel percorso poetico di M. de R., riflesso di quello esistenziale, lei non si pone dunque come vittima, ma orgogliosamente artefice del proprio destino. La sofferenza che s’è trovata a patire, già diciottenne, dal momento in cui Ezra Pound salì in Tirolo per comunicarle di essere suo padre e rivelarle l’identità della madre, non sarà per lei, forte dell’energia e della solidarietà assorbita nella famiglia affidataria di Gais in Tirolo, un fatto da subire passivamente. Il contesto e una condizione sociale diversa rispetto a quella dei genitori biologici non diventerà pretesto in cui crogiolarsi per attrarre attenzione, ma opportunità per trovare una nuova direzione, un sentiero di luce nella nebbia che d’impatto l’avvolge disorientandola. Certo, il segno e le modalità di questa rivelazione non si cancelleranno mai, riaffiorando nei momenti bui della sua complessa e movimentata esistenza, ma la renderanno capace di attrezzarsi con strumenti tutti suoi per imbastire una strategia difensiva atta a mitigare i colpi, a medicare le ferite. Vita e morte, così come il sentimento di devozione di fronte all’esistenza e alla sua sacertà, sono interconnesse il che non comporta da parte sua – e risulta chiaro nell’intera opera che si dipana nell’arco di sessant’anni – un’accettazione passiva degli accadimenti e delle persone che li animano. Anzi! Mary non ha peli sulla lingua, tantomeno reticenze se non quelle dettate dal pudore e solo accennate, lasciate intuire. Così, insieme ai sentimenti forti, allenati fin dall’infanzia anche grazie alla rete di persone umili e sapienti che gravitavano attorno a lei – ci racconta di rancori e risentimenti con battute fulminee, talvolta epigrammatiche, felici nella loro irriverenza affatto compiaciuta. La sua schiettezza lapidaria, talvolta pungente, che definirei spoliazione, ci fa stare al suo fianco, complici del suo sentire, del suo fare, del suo esporsi, in cui si legge in filigrana il nobile auspicio di un’integrazione armoniosa tra gli uomini nel mondo intero. Le poesie della maturità, spesso tranches de vie, dove anche la sintassi e il lessico si complicano, contengono riferimenti talvolta oscuri, difficili se non impossibili da decifrare per un lettore comune. E così ci consegna un affresco che attraversa più di sessant’anni e non a caso assume il titolo di “Processo in verso”. Etimologicamente, “processo” può significare avanzamento, progresso, ma anche procedimento tramite il quale viene esercitata una funzione giurisdizionale che si conclude con una sentenza. Di che processo si tratta in questo caso? Personalmente sarei portata a pensare a una felice commistione delle due funzioni, cioè quella del procedere nel percorso esistenziale lasciando via via una traccia, e quella vagamente giurisdizionale, di valutazione se non giudizio su vari accadimenti di cui lei è stata protagonista o testimone. Va, tra l’altro, ricordato che per tutta la vita s’è opposta, pagandone le conseguenze, a leggi inique per onorare la Legge del cuore, quella che le impone di battersi, nonostante tutto, perché a suo padre venga riconosciuta giustizia, se non quella umana, almeno quella divina, che conosce le intenzioni del cuore trascurando la lettera dei codici.

Leggendo la sua opera viene da pensare a un giovane poeta di Brunico, morto precocemente, il quale, pur gravitando nel mondo germanofono, si sentiva profondamente italiano. Si tratta di Norbert C. Kaser, al quale recentemente è stata dedicata una biografia dal titolo “Il mite caprone rosso” edito da Alphabeta Verlag, frutto di accurate e prolungate ricerche da parte di Roberto Masiero, altoatesino di nascita e veneto d’adozione. Kaser, appena liceale, in un tempo in cui prendere posizione significava anche correre qualche rischio, aveva trovato il coraggio di scrivere “Fino a quando dimostreremo il nostro essere tedeschi lanciando bombe, coleremo a picco”. E a Brunico dedica versi crudi e incisivi, colmi di nostalgia: “terra amata.  fatta di campanacci & / risse da osterie / figlia del clima / madre dell’uva”. Non so se la nostra ha avuto occasione di conoscerlo, ma penso che per lui avrebbe provato simpatia se non altro per l’impegno politico, per l’onestà intellettuale e per la sua sobria, potente poesia nella quale i campanacci costituivano la musica di fondo, i vigneti e le osterie il luogo della socialità dove non di rado sfogare e risolvere i contenziosi quotidiani. “Il poeta è colui che sa abitare con coraggio e dedizione sullo spartiacque tra vita e morte, presente e passato, luce e ombra, memoria e oblio” disse Margherita Guidacci sua contemporanea, una delle più sensibili poete del secondo Novecento, purtroppo trascurata ma recentemente portata all’attenzione da un’opera intitolata appunto “Sull’alto spartiacque” (antologia a cura di Giuseppe Marrani e Benedetta Aldinucci, Interno poesia, 2024). E Mary credo possa a buon diritto rientrare in questa definizione.Sono poesie d’amore le sue? Sì, se cercano di svelare qualcosa del mondo o di aggiungervi qualcosa, il che ha il medesimo valore. Gli alberi, le erbe, gli animali che descrive, anzi, ai quali dà nuova vita attraverso la parola, sono radicati nell’amore perché assorbiti come linfa vitale dalla Terra dove ha vissuto la propria infanzia, osservando il passaggio nelle diverse stagioni, i lavori dei campi, il passare del tempo dettato dalla luce e dall’inclinazione del cielo. Perciò ogni testo – perché di tessitura si tratta – a seconda dell’inquadratura, del riscontro e della risonanza emotiva che s’incide nella carne e nel cuore della piccola Mary, trova la propria forma che può a buon diritto definirsi preghiera laica. Non v’è dubbio che il Tirolo sia lo scenario più vivo, fresco, vibrante che ricorre nei suoi versi, a partire da quelli d’esordio fino agli ultimi dove il ricordo, struggente o pacato che sia, torna a vivificarli, a farli tornare presenti dentro una parola fresca, misurata, efficace che nasce da un equilibrio ricercato, conquistato, tenuto ben stretto fino a farlo diventare una forma di sapienza. Un Tirolo con radici profonde e Lari custodi (<<Al mio paese / conosco i patri lari. / e l’altare segreto>>), Heimat insomma, che compara alla dispersione dell’America e dell’esilio, del cosmopolitismo esasperato dalle mille parlate, dove la letteratura originaria, orale, popolare è sostituita da una, certamente di valore, ma di tipo intellettualistico. Il che non le impedisce in un sussulto sentimentale di scrivere <<Dopo Dio e il Tirolo / terra d’esilio / s’intende io amo te / America mia patria / e di bastardi / intenti a proteggere / i falsi nomi>> auspicando una sorta di unione/concordia tra i due mondi così diversi ma non incompatibili, sentendo che le sue radici di nascita, unite a quelle culturali <<vanno / verso il centro del cuore / cercando la sorgente viva>>.

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Degna di nota, direi fondamentale, questa nota che precede la sezione “Polittico”, poesie 1985-1985 e dice molto della sua postura morale:

“Al mio primo libretto di poesie uscito nel 1965 “All’Insegna del Pesce d’Oro” non si trovò il prefatore, aggiunsi quindi una breve nota per spiegare che consideravo i miei versi più che altro una trasgressione, pagliuzze che hanno spezzato il dorso al mulo, in quanto pensavo che nel campo della poesia io ero semplice mezzadra che doveva zappare la terra altrui, cioè tradurre.

Dopo un intervallo di trent’anni, senza voler sembrare arrogante, scrivo una praefatio ad lectorem per avvertire che questa “non è una raccolta a tesi” bensì un ponte che mi ha ricondotto nel seminato italiano da cui avevo tentato con tutte le mie forze di uscire. Quindi è anche un ponte fra due “sconfitte”. Ma essendo stata mia buona fortuna muovermi fra mondi lontanissimi gli uni dagli altri, in senso sociale ed estetico, è doveroso testimoniare per le forze che hanno avuto il sopravvento. (M.d. R.)

Nadia Scappini

Le poesie italiane di Mary de Rachewiltz sono qui raccolte per la prima volta in un unico volume, sorprendente per l’ampiezza e l’intensità con cui racconta per istantanee la storia di una vita fra cultura e natura. Dal Tirolo natìo agli Stati Uniti, all’Africa; dagli studi di artisti ed editori ai salotti del bel mondo, alle apparizioni di letterati e amici, fra cui molti protagonisti del Novecento. Primo fra tutti il padre e maestro Ezra Pound, con cui Mary non ha mai smesso di fare i conti. Ha il dono di una scrittura secca e franca, sempre attaccata alla cosa vista sentita sofferta amata. Un mondo ritrovato, qui finalmente ricomposto per chi voglia conoscere una vicenda senza eguali e la sua forte poesia.

Massimo Bacigalupo, saggista e traduttore, ha insegnato Letteratura americana all’Università di Genova. Vive a Rapallo, dove già i suoi nonni frequentavano Ezra Pound e i suoi genitori, nonni di Mary de Rachewiltz.