Riccardo Frolloni
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Q.B. PRIMO PIANO
Nota di lettura su Corpo Striato
(Industria&Letteratura, 2021)
Riccardo Frolloni
Un libro come Corpo striato di Riccardo Frolloni, pubblicato nel 2021 dalla casa editrice Industria&Letteratura, può aprirsi a vari tentativi di lettura. La raccolta presenta una tematica e una forma coerenti in loro stesse, ma al proprio interno cela tratti di crisi o complessità. Prendiamo per esempio la costruzione del verso, che scorre ampio e discorsivo (il primo che appare, in sogni I, è emblematico di tutta la raccolta: “Era lungo la scarpata e i massi e la merda delle vacche”), accoglie elementi del parlato (“scorrettezza per scorrettezza”), perfino dialettali (“[…]lu figliu de Peppe?”) e risulta marcato da un fraseggio lungo, articolato. Non passa inosservata nemmeno la lezione di Luzi, Nel magma, libro a cui Frolloni ha dedicato la tesi di laurea, come ricorda in prefazione il professore Stefano Colangelo. La locuzione luziana, oltretutto, si trova citata esplicitamente in un punto chiave della poesia conclusiva, memoria 0: “Nella confusione delle direzioni o nel magma,/nello scioglimento dei soggetti, dimentico e perciò narro, costruisco, mi metto controvento […]”. memoria 0 è proprio il testo in cui il verso di Corpo striato è messo, per così dire, in crisi, perché arriva a estendersi ben al di là dei recinti che lo avevano contenuto in precedenza. Eccede in misura persino rispetto alle precedenti fasi I, II, III, IV, V, VI, che a loro volta sono gli unici testi in prosa del libro e rappresentavano quindi un ulteriore elemento di complessità formale. In memoria 0 il verso lungo di Frolloni, che comunque sa concentrarsi anche in soluzioni più rapide, si fa iper-verso e segna un approdo che dà l’impressione di essere anche punto di ripartenza per esiti futuri. A lasciarlo pensare è anche il senso che la poesia assume nel libro, di sintesi del vissuto che porta a un nuovo stadio di consapevolezza, chiudendo il cerchio di quello che potrebbe essere visto anche come un romanzo di formazione. Dal punto di vista tematico, infatti, Corpo striato ruota intorno alla perdita improvvisa e dolorosa della figura paterna: il soggetto racconta l’assenza del padre, ne ricorda la presenza, sogna allegorie. Sono movimenti, materiali, sogni, non titoli di sezioni, ma di serie numerate che si intersecano nell’architettura della raccolta. I materiali, più ancorati alla realtà e alla sua concretezza, potrebbero essere antitetici rispetto ai sogni, dai tratti metafisici, mentre i movimenti rappresentano forse le fondamenta stesse del libro. Il corpo striato è infatti la parte del cervello chiamata a gestire i movimenti, e sono proprio questi a differenziare i vivi e i morti: i primi hanno ciò che ai secondi è tolto per sempre, la capacità di agire e reagire (“Visto al centro della stanza pensai noi ci muoviamo”, movimenti IX). Una immagine di dinamismo che percorre tutta la raccolta è quella del vento: la parola, come giustamente osserva Antonio Francesco Perozzi nella nota che ha dedicato al libro su La Balena Bianca, compare ben diciassette volte. Questo vento sferza il soggetto e il suo mondo, tanto che nella preghiera I si invoca il padre, lare familiare della “nostra religione umana”: “dammi la forza,/fuori c’è un vento un vento un vento”. E ancora: “perché vivendo c’è sempre vento” (movimenti X). Ora, questo vento, più che il respiro infernale della morte che tutti porta via con se, sembra essere il soffio incessante dell’essere, un moto che non ha mai fine e trascende, pur contenendole, le logiche umane. Ecco, quindi, che «il dono di invocare i poeti» è il dono di parlare con la voce dei morti, coloro che «possono dirti tutto, ormai senza misteri», senza bisogno di compiere atti di fede. Si ripercorre la memoria fino al primo ricordo, come diciamo che sia prima di morire, per poi dimenticare tutto, come gli antichi credevano che accadesse prima di rinascere.
da Corpo striato
Sogni I
Era lungo la scarpata e i massi e la merda delle vacche
e procedeva bene, a passo svelto, diritto di schiena, nell’aria
leggera della montagna, ognuno attento ai propri piedi
col sudore sotto la camicia e il fiatone, il mal di gola,
nel sonno devo aver perduto la coperta, slabbrato il pigiama
o dimenticato una finestra aperta, così uno spiffero,
un rumore dal fondo delle campagne s’intrufola,
diventa subito un fischio, mio padre già in cima
del primo promontorio, ce ne sarà poi un altro
e un altro ancora, ma neanche una parola, aveva il volto
sereno, da uomo, mi ammoniva di salire, di darmi
un tono, ma io arrancavo, passavo da altre parti, lo perdevo,
lentamente gli altri scomparivano nelle nuvole
o dietro ai sassi, io pure mi facevo più bianco con la pelle
fredda di sudore, mi dicevo non svenire ora, resta sveglio, svegliati.
movimenti I
Ci fecero uscire tutti dopo l’ultimo sguardo,
non avevo mai visto il giardino così, la gente
stava in piedi dappertutto, guardavano noi
mezzi scemi, rimbambiti dal piangere, allora
davvero qualcosa era accaduto: prima
la macchia, il cielo, i pioppi intorno, gli stessi.
C’era mia sorella ad aspettarmi e con un respiro
raccolsi tutta l’aria di casa, ed era ancora casa.
materiali II
Chi riconosce l’aria della neve
porta guanti di cuoio alle mani
e si passa legna dietro casa,
non ci si dice molto perché
non c’è molto da dire, ogni volta
è come se ci inseguisse qualcosa
le macchine passano per strada
ma più veloci, più sole, trasparenti,
subito rientriamo, odore di polenta,
ci precede un vento che sappiamo
ha il sapore ferroso delle ferite, perché
senza dircelo lo aspettiamo.
movimenti IX
Visto al centro della stanza pensai noi ci muoviamo,
qualcuno sussurrava qualcosa, piangeva, ma tutti erano soffio
il corpo invece diventa subito corpo estraneo, immondo, zia Bruna
senza pensieri aveva pulito tutto, sistemato tutto, senza pensieri,
semplici le persone uscendo dicono ci vediamo e si voltano, salutano,
era movimento quello che mancava a mio padre, ingranaggio,
mi tormentavano micro pulsazioni, lampi, imprevisti,
e di questi soprattutto le mani, ora stringono un crocifisso
ora le mie mani sono impronta delle sue, le cerco nei sogni
le sento ogni volta che le richiamo, quelle bianche non erano
più quelle di forza e coraggio, scelgo così di accarezzargli i capelli
cortissimi, come voleva fossero i miei, ma c’era troppo bene poi.