Sandro Pecchiari
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Q.B. PRIMO PIANO
Nota di lettura su Alle spalle delle cose
Sandro Pecchiari (Vita Activa Nuova, 2022)
Leggendo i versi di Sandro Pecchiari viene spontaneo domandarsi se poeta si nasca o si diventi. Secondo la poetica pascoliana del fanciullino, che abbiamo imparato sui banchi di scuola fin dalle elementari, tutti nasciamo potenzialmente poeti, ma solo pochi sanno custodire dentro di sé la voce primigenia, lo sguardo curioso e stupito che consente di aspirare ad esserlo. Meno ancora vi riescono dopo avere lavorato sui loro versi per sottrazione con pazienza, abnegazione, fiducia totale nella parola che chiama da dentro ed esige talvolta che ci si affacci all’abisso per farsi ponte di comunicazione con chi sia disposto ad ascoltarla. E Sandro è tra questi.
Uno, come direbbe Philippe Jaccottet, capace di far cadere l’abito superfluo, indossato come uniforme dalla maggior parte di noi, per raccontarsi a mezzavoce e senza infingimenti nella nudità delle ferite, reali e metaforiche, che la vita gli ha aperto nella carne e nell’anima. Capace, con sintonia perfetta tra coscienza della realtà e intensità di parola, di spalancare passaggi segreti nei muri scovando con tenerezza convinta piccoli lumi sospesi in attesa di chi sappia farli risplendere per consolare un dolore che timido sussurra/vergognandosi di disturbare ancora… Ciò che richiede solitudine e silenzio perché davanti al sole l’esistenza, silenziosa, inafferrabile è priva di recinti (sic in esergo Philip Larkin, Here, The Whitsun Wedding): ti graffierò le parole con le mie/ antiche che potresti non capire o, ancora, narrare ancora è forse inutile/ scortesia non farlo. Ma se la solitudine chiarisce, favorita dallo stato di concentrazione, serve un ultimo passo verso la luce solare per spogliare l’esistenza e restituirla conciliata, seppure con l’avvertenza del dislivello esistente tra l’amore e il darsi quiete.
Sì, in questi versi vedo Sandro Pecchiari, con la mano a coppa rovesciata sulla fronte, camminare su e giù per il Molo Audace della sua Trieste o in qualunque altro dei luoghi significanti toccati in questo pellegrinaggio sentimentale (non dimentichiamo la dedica eloquente a inizio libro A tutti i “genius loci” della mia vita), con gli occhi puntati all’orizzonte presentendo che flash, frantumi, ripetizioni di scene, di luoghi del passato potrebbero affiorare in altra dimensione grazie al mistero della parola poetica. Ciò che gli consentirà di segnare come su un calendario la mappa della propria vita illuminando i giorni pari e smaltendo quelli dispari per esorcizzare il male attraverso “le venature ironiche” di una acquisita “poetica disincantata e potente” (Monica Guerra).
Traduttore egregio dall’inglese, una lingua per natura lontana dalla retorica e dunque prossima alla concretezza, il nostro sa piegare la lingua, senza la minima sbavatura, alle esigenze della memoria, la sola in grado di arrestare il tempo, conservarlo, tramandarlo. Ma non basta: bisogna che la memoria diventi ricordo per essere efficace, contrastando l’oblio attraverso un’operazione dolorosa ma necessaria di selezione che definisca incontri relazioni esperienze fin dall’infanzia sotto il dominio di un disagio, un dolore, un trauma (un ciclo di lavaggio/ srotola e arrotola/ i panni del passato/…… il ricordo alla deriva/attende un suggerimento -/meglio un risciacquo prolungato).
In questo Alle spalle delle cose la spoliazione è compiuta, la parola – non più rotta – fluisce aderendo al ricordo, la ferita divenuta feritoia è sanata semantizzando la realtà, anche se ogni sutura – si sa – può manifestare qualche punto allentato e dunque va sorvegliata, come a dire “semper paratus esto!”. Ma lo sguardo rischiarato ora non si ferma sulla soglia e lo stile registra la posizione di chi ha allenato “l’anima a vivere fuori dalla finestra” (M. Cvetaeva), per ampliare il raggio di comunicazione e di pacificazione, possibile solo sondando alle spalle delle cose, dunque compiendo un viaggio circolare di ascolto, di comprensione, di senso.
Se potessi parafrasare il titolo scelto per questa nuova vitale raccolta di Sandro Pecchiari, sceglierei “alla giusta distanza” evidenziando, come fa nell’ottima postfazione Monica Guerra, la profondità di campo e la larghezza di prospettiva. Ma, ancor più, la libertà di percorrere vie laterali, pertugi secondari, giunture mal celate, di sondare i misteri custoditi e quasi mai ascoltati delle cose che comunemente consideriamo inanimate e solo le anime più sensibili sanno ascoltare e con esse dialogare. Il timbro dell’anima di un poeta vero.
Pregevoli le fotografie di Paolo Ugolini e Daniela Alpi, quanto mai intonate alle atmosfere che si respirano nei e tra i versi di questo rasserenante viaggio esperienziale.
Testi tratti da Alle spalle delle cose
(Vita Activa Nuova, 2022)
3. Caccia di sera
lo stridere delle rondini
si salda con tutti questi insetti –
inconoscibile la strage nell’impatto
solo la sorpresa dei passanti
il loro seguire con le mani
questo andare a cappio
ognuno nel proprio posto adatto
chi nell’aria chi nel ripetere
ogni atto
e crearsi inferni in proporzione
vivi ancora di una vita a brani
i moscerini volano a scarabocchio
nessun andare si riannoda
né ha pace nella conclusione
6. Hamam di quartiere
poche lire lavano via la polvere
del giorno e la bellezza
vista come se non l’avessi avuta mai
un antico nascondiglio a Istanbul
ormai in balia delle crepe degli anni
quattro chiacchiere in turco
il dislivello tra l’amore e il darsi quiete
le scritte in arabo si scollano dai muri
si leggono male e smorte
rivelano la malta e i mattoni nudi
sussurrano una preghiera al negativo
lasciamo tutti scivolare via
il sudore la pelle vecchia dalla carne
chiedendo a mezza voce di dove sei
sen nerelisin, arkadaşım
amico mio che mi proteggi dalle spalle
dietro è una terra di nessuno
sei tu che sai vedermi da lontano
tu nella mia interezza
e io la tua
anche noi a segnare la memoria della pietra
resa lustra e liscia dalle nostre vite
prima o poi
un turbante o una rosa
sen nerelisin, arkadaşım = di dove sei, amico mio?
arkadaş = amico, letteralmente chi ti protegge le spalle
19. Canale
il cielo di voli di meduse
il cielo ha un bordo
il pelo d’acqua –
non si vive oltre nell’aria
non si respira la rarefazione
qui possiamo osservare
le ondate di marea
e di storie
ne immaginiamo in abbondanza
non si comprendono le barche
lassù in alto
immerse con la faccia dentro l’aria
ci chiediamo
come sanno vivere due vite
ma loro stanno sospese
nel silenzio
Canal Grande, Trieste
20. Θαλασσα Θαλασσα
raccolgo il respiro aspro delle albe
il raspare ostile dei gabbiani
l’imprendibile sfuggire delle sabbie
scabre tra le dita
e storie antiche da calcare ancora
ricordarsi di cullare tutti i morti
cantargli ninnananne di catrame
il russare di barche contro i moli
il ruvido dormire tra gli scogli
ci vuole lo schiaffo delle acque
il largo dei tramonti sul torace
e la stoppia resistente dei cordami
l’incoerenza dei guizzi il patire
immenso del calore
mostro sempre l’orizzonte dentellato
che rimbocca il tuo rumore
rotolando sassi nelle mareggiate
un cuore che fugge assieme alle meduse
Trabzon, Trapezounta, Mar Nero
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Sandro Pecchiari vive a Trieste. Si è laureato in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Udine nel 1977 con una tesi sulle prime raccolte poetiche di Ted Hughes, da The Hawk in the Rain a Wodwo. Ha pubblicato: Verdi Anni, 2012, Le Svelte Radici, 2013, L’Imperfezione del Diluvio – An Unrehearsed Flood, 2015, il lavoro antologico Scripta Non Manent, 2018, per la casa Editrice Samuele Editore; Desunt Nonnulla, 2020 per la casa editrice Arcipelago itaca; Alle spalle delle cose, 2022, per Vita Activa Nuova..
Le prefazioni ai suoi libri sono nell’ordine di pubblicazione: Roberto Benedetti, Mary Barbara Tolusso, Andrea Sirotti, Giovanna Rosadini, Monica Guerra. Le Svelte Radici, con il titolo Despojando Raíces, sono state pubblicate in spagnolo con la casa editrice Uniediciones Sello Editorial, Colombia, 2019, con la traduzione di Antonio Nazzaro. La silloge in inglese Kidhood è stata pubblicata nello Special Issue, Writing in a Different Language, NeMLA, Italian Studies, The College of New Jersey, USA. La silloge Camminiamo Lenti è uscita con le Edizioni Culturaglobale “100”, Cormons 2019, a seguito di un meeting Italia-Austria nel Festival Itinerante del Giornalismo e della Conoscenza “Dialoghi Poetici”, organizzato da Renzo Furlano, Seeboden, 2019.
Sue poesie in dialetto triestino sono state pubblicate nel Quarto Repertorio della poesia italiana contemporanea, Arcipelago Itaca , 2020. Nello stesso anno esce la sua raccolta più recente Desunt Nonnulla – Piccole Omissioni per Arcipelago Itaca, con prefazione di Giovanna Rosadini.
Ha collaborato con il poeta triestino Claudio Grisancich e con Cristina Fedrigo per la parte musicale e corale allo spettacolo su Konstantinos Kavafis “Per Altre Terre Per altri Mari”, Auditorium Revoltella, Trieste, 2018; con suoi testi alla meditazione per coro, voce recitante, clarinetti e sax “Agnus Dei Today” su musiche e direzione di Cristina Fedrigo alla Kleine Berlin, Trieste, 2019; nel videopoem con voce recitante sulla traduzione di “I’ve in the Rain” del poeta canadese Al Rempel e il supporto tecnologico di Erica Goss; lettura nel CD “Umanità su Rotaia” di Cristina Fedrigo su testi di Federico Tavan e Elio Bartolini traduttore e performer per la parte in lingua inglese
Attualmente collabora con l’associazione Independent Poetry per cui cura la sezione Q.B. Traduzione, con la rivista Graphie di Cesena e il blog Versante Ripido di Bologna. Scrive anche per Il Ponterosso di Trieste e per Fare Voci di Gorizia.