Sandro Pecchiari
Co se iera muli
AltriMari diretta da Manuel Cohen
(Arcipelago Itaca,
2025)
Prefazione di Manuel Cohen
Postfazione di Maurizio Rossi
fotografie di Manuele Elia Marano
1.
el fiume int’el vento iera un stante
una ramada un confin
pe’i muli de fora co se se patufava
ogni tanto se traversava l’aqua
per scanbiarse vis’cie e pessi
inprestandose un mondo
ladrandose le armi e le parole
infilandose indoso l’amicizia
come el còbian de’l morer
sui lavri, de scondòn
il fiume al vento era una ringhiera / un graticcio un confine / per i
ragazzi forestieri nelle lotte – // a volte varcavamo i guadi a barattare /
lunghe canne o pesci / il nostro mondo in prestito / rubandoci le armi o
le parole // celando l’amicizia / indossandola come il bianco delle more /
sulle labbra, senza sfoggiarla
3.
zite zite le zornade de bùcoli e de bache
el mondo iera noma roba de magnar
el tenpo stuzicava ortighe de ‘na lingua
nova su la pele
dismisiava le parole
a stramusoni sparlazava e le sponzeva
zite zite le domande
le zigale le parlava anca per noi
giornate silenziose di bacche e di gemme: / il mondo non era altro che cibo // il tempo suscitava una lingua d’ortica / nuova sulla pelle / sparpagliava le parole / a mani aperte irriverenti pungenti // zitte zitte le domande / le cicale parlavano per noi
8.
ma quela iera la mia ugnola arma viva
drento‘sto mondo
che sgiozava come ‘n pianeta de zenoci gratai
de corpi ingranai come vitici
de consonanti stravecie che svaniva
coniugazioni fate a tochi:
i ‘scoltava un poco divertidi un poco inorididi
ma i ‘scoltava
gavevo prova’ co’ Cristo
ma no funziava
ma quella era la mia unica arma vivida / in questo mondo / che zampillava come un pianeta di ginocchia sbucciate / di corpi abbarbicati come viticci / di consonanti antiche in sparizione / coniugazioni smantellate: / ascoltavano mezzi divertiti e mezzi inorriditi / ma ascoltavano // avevo provato con Cristo / ma non funzionava mai
9.
no go podesto
scovar el blu nel’aria fina d’i zorni ‘ndai
e gnanche ti –
qualchidùn disi crepà, qualchidùn partido
a volte gnanche ‘na parola –
floce come muri,
un no sta domandar s’ciafonado sora ‘l muso
te me ga involtizado dove diolivo
una ferita el tu’ moverte qua drento
el cuor tajado
spalancai l’un su l’altro
gavevimo inganzado frasche de somaco
come corone e strascici
de due re domaci
intorno ‘l andar de le zornade
non ho più potuto / scovare il blu nell’aria sottile dei giorni passati / né te – / alcuni dicono morto, altri partito, / a volte nemmeno una parola –/ bugie come muri, / un non chiedere schiaffeggiato in faccia // mi hai avvolto dove dolevo / una ferita il tuo tragitto in me / il cuore trafitto spalancati sull’altro / abbiamo intrecciato fronde di sommaco / in corone e strascichi tutto intorno / di due re nostrani / attorno al cammino delle giornate
11.
te te ricordi
‘sta aqua iera un capoto liso
rivoltà oltre le stagion
oltre ‘l orizonte
senpre meno senpre meno
te parlavi el tu’ dialeto
le zità iera nove e bele
le zità gaveva batiti de canguro
dentro i tui oci pici spalancai
de ti me ricordo
te spetavo tra navi de guera ‘mericane
modelini de aluminio de rioplani
in zoso da le scale spacando col rumor
dei pìe quel che no te gavevo dito
un ciao almeno
iera de carton la valisa de l’infanzia
ghe go sconto drento ‘sto desmentigarse
de ti, de mi
fin a desmentigarme tuto
ti ricordi / l’acqua era un cappotto liso / rivoltato oltre le stagioni / ben oltre l’orizzonte / sempre meno sempre meno / ti serviva il tuo dialetto / le città erano nuove e belle / le città erano balzi di canguro / nei tuoi occhi spalancati // di te ricordo / ti aspettavo tra navi da guerra americane / modellini in alluminio di aeroplani / saltavo dalle scale
spaccando col rumore / quello che non t’avevo detto / un ciao almeno // la valigia dell’infanzia era cartone / vi ho riposto dentro questo dimenticarsi / di te di me / fino a dimenticarmi tutto
22.
prima dele quatro la portinara
ne gavessi scazà, noi muli
no se podeva far scandàl – a zogar
ala sesa, a manete, al portòn,
a rivar sul muro
co i pasi de sariandola, de lionfante
qualche salto de canguro o de lion
papagal papagal che ora xe?
el muro iera la meta e el premio
ne bastava. iera ‘l movimento che contava
farlo coreto e controlà dai altri – no barar –
no savevimo che sarìa sta cusì el futuro
le scelte intorcolade
i pasi tropo curti o tropo longhi
senò se tornava indrìo
o ‘l paso del ganbero
a l’incontrario
come la vita a volte
e noi ‘n corte a inventarse strade
e truchi per rivar
e ierimo schile e canguri
e lioni lofi e divertidi
chisà co’ quai de questi pasi
la nostra galasia se s’cianta
contro Alpha Centauri
come zogando.
prima delle quattro del pomeriggio la portinaia / ci avrebbe scacciato, noi ragazzini, / era vietato far rumore – giocare / alla sesa, al gioco delle cinque pietre, al portone, / ad arrivare al muro / con passi di lucertola, di elefante, / di canguro o di leone / pappagallo pappagallo, che ora è? // il muro era la meta e il premio / ci bastava. contava solo il movimento / farlo corretto e controllato dagli altri – non barare – // non sapevamo che sarebbe stato così il futuro / le scelte aggrovigliate / i passi troppo corti o troppo lunghi / altrimenti si tornava indietro / o il passo del gambero / al contrario / come la vita a volte // e noi nel cortile a inventarci strade / e trucchi per la meta / ed eravamo gamberi e canguri / e leoni goffi e divertiti // chissà con quali di questi passi / la nostra galassia si schianta / contro Alpha Centauri / come per gioco
“Which language can I choose to write about my lost childhood?” si chiedeva Sandro Pecchiari nella conferenza del Nemla, tenutasi a Washington nel 2017, prima di leggere l’allora poemetto “Kidhood” ora confluito come silloge nel libro di esordio in lingua triestina Co se iera muli / Quando eravamo ragazzi di prossima pubblicazione per Arcipelago Itaca, con prefazione di Manuel Cohen, postfazione di Maurizio Rossi e dieci scatti fotografici di Manuele Elia Marano. Non sarà certo un caso che questa raccolta di 23 poesie, dedicate all’infanzia e all’affaccio all’adolescenza, sia nata in inglese e veda la luce, dopo aver transitato dalla traduzione in italiano, solo una volta risalita la corrente sino alla lingua madre, come a testimoniare la necessità di utilizzare una lingua altra rispetto all’adultità, per incarnare nei versi l’incanto epifanico dell’inizio, di ogni inizio, di ogni mutamento, di ogni guado.
I versi, ambientati nell’Italia postbellica, si muovono tra i giochi nei cortili e le sponde dei fiumi, alla scoperta delle prime relazioni e della realtà di un mondo impossibilitato a riconoscersi nell’odierno. La commistione linguistica è radicata e necessaria per raccontare l’interezza identitaria di chi cresce in zone di confine e di chi deciderà poi, come poeta e come traduttore, di porre proprio la lingua al centro della sua esistenza, spesso nomade.
La lingua si prende in prestito dalla vita, sembra dirci Sandro Pecchiari e la memoria stessa talvolta si rilegge attraverso lingue altre, in un tentativo chiarificatore ma anche depotenziante della portata emotiva dei ricordi. Ed è così che in un viaggio a ritroso dal contenimento della lingua inglese cresce un frutto maturo e dolcissimo che riporta Sandro Pecchiari sulla soglia di casa, chiudendo il cerchio di ogni andata (e di ogni lingua) nel suo struggente ma splendido ritorno all’origine.
Sandro Pecchiari vive tra Trieste e Firenze. I suoi lavori più recenti sono contenuti nel Quarto repertorio di poesia italiana contemporanea (Arcipelago itaca 2020), nella silloge Desunt Nonnulla (piccole omissioni) (Arcipelago itaca 2020), in Alle Spalle delle Cose (VAN, Vita Activa Nuova 2022), in Atropo, Lachesi, Cloto (puntoacapo 2024). Presente in numerose antologie italiane e straniere, ha collaborato: con il poeta triestino Claudio Grisancich e con Cristina Fedrigo, per lo spettacolo su Konstantinos Kavafis Per altre terre per altri mari (Auditorium Revoltella, Trieste 2018); con suoi testi, alla meditazione per coro, voce recitante, clarinetti e sax Agnus dei today, di Cristina Fedrigo (Kleine Berlin, Trieste 2019); nel video-poem con voce recitante sulla traduzione di I’ve in the Rain, del poeta canadese Al Rempel e con il supporto tecnologico di Erica Goss; alla lettura nel CD Umanità su Rotaia di Cristina Fedrigo, su testi di Federico Tavan e Elio Bartolini, traduttore e performer per la parte in lingua inglese. Attualmente collabora e traduce per l’“Independent Poetry” di Faenza, per la rivista “Graphie” di Cesena, per il rinnovato “Nuovo Almanacco del Ramo d’Oro” di Trieste. Scrive anche per “Il Ponterosso” di Trieste e per “Fare Voci” di Gorizia.