Stefano Colletti
Sull'altra riva
altre scritture
(Puntoacapo,
2024)
Campane
Ceno da solo.
Nulla tace,
C’è una babele che mi ricorda
L’inventario delle mie consolazioni.
Mangio e non credo a nessuna.
Le parole arrivano
Da giardini visti in sogno,
Vestite di una carne familiare
E terribile.
Sono molli di rugiada,
In un autunno di tortore
E pipistrelli.
Parole d’addio, d’amore feroce,
Di mezzo sonno
Dolce e svanito, qui si trova
Ciò che si vuole.
Occupano lo spazio, tutto,
Del resto non c’è nulla
Cui tornare, solo un eden
Inutile come ogni altro.
E non ho occhi
In queste sere in cui raccolgo
Pioggia per la siccità a venire,
Quando gli autunni seguiranno
Altri autunni senza nient’altro
In mezzo, e non ci sarà
Riposo né salvezza.
Dalla mia finestra guardo
Lo stesso vicolo vuoto, dimesso,
Sento le campane chiamare
E pare sempre il tuo nome,
Come se avessi lasciato a loro
L’incarico, ora
Che non ho più voce.
Vita (2 mosse)
1.
Le scale fatte, i maglioni
Messi e diventati lisi
Sono la trama di questa
Che chiamiamo vita.
E mettici i marciapiedi crepati
Per il gelo, i prati polverosi d’agosto.
Le figure curve di chi aveva
Pochi anni insieme a te.
E mentre aspetti
In un seminterrato d’ospedale
Che ronza di apparecchi,
Ti si fa incontro per un istante
Un vecchio amore, che gira
L’angolo e ti guarda
E non ti vede.
2.
Stamattina prima dell’alba
La luna piena, gloriosa appena
Sopra i tetti, e un’aria di rose,
Le rose schive d’ottobre,
Erano tutto ciò
Che resterà di un giorno
Già andato.
Ho camminato fino alle querce
Dietro al mio cane,
Annusando l’aria come fosse
Una pagina straniera
E nuova, finché un colpo di vento
Ha fatto piovere le ghiande
Ormai mature su di me.
O meglio – attorno,
Perché non una mi ha colpito,
Come se fossi entrato
Da intruso in un incontro
Che non mi riguardava
Ma perdonato.
Badare al mondo
Badare al mondo,
Che non si arrugginisca troppo,
Che non si copra di alfabeti
Illeggibili,
È un lavoro per pochi.
Pensa al camminatore lungo
Le ringhiere: le scuote ogni venti
Passi, dovessero mai cedere,
E cammina oltre.
Pensa a chi manda baci
A chi sulla banchina
Del porto finge di salutare
Qualcuno a bordo
Ma è solo al mondo,
Così che per una sera chiuda
Gli occhi su una rima.
O l’uomo che ritocca
Le meridiane sbiancate dal sole,
Crepate dal gelo: il tempo
È la sua tempera.
Badando al mondo si fa
Sempre tardi.
Quando si torna
A casa si mente un po’
Per evitare sospetti – il traffico,
I vicini.
Compleanno (58)
The reason people make lyric poems and blues songs
is because our life is short, sweet and fleeting.
C. Simic
Le cose da fare
Sarebbero altre, ma finirò
Per farmi la barba con calma
E uscire presto, per sedermi
A un tavolino libero che so io
E fare colazione.
Il giorno prima sarò passato
Dal barbiere cinese,
Che mi chiede sempre
E solo Come tallio?, pur
Sapendolo precisamente.
E quindi avrò capelli rasati
E guance lisce, e intorno
Cose umide del mio
Silenzio – uno zaino,
Un portachiavi con Churchill,
Un fazzoletto di tela, stirato.
(A metà giornata
Mi avrà raggiunto il solito
Desiderio: risalire sotto i pini
Dall’acqua fredda e fonda,
Sentire il sole a macchie sulla pelle)
C’è tanto del caso e tanto
D’intenzione nei grandi alberi
Isolati, platani e olmi
Fatti come arpe, che deviano
Il vento cantando
E lo portano dove vogliono,
Una delle cose
Che sarebbero da fare oggi.
18 agosto 2018
La verità
Dove sei, mi chiedo,
E nemmeno so
A chi pongo la domanda.
Il vento rinfresca, forse
Porterà la pioggia di fine estate
Su prati esausti – vassoi
Rimasti vuoti, i fiori
Di campo ormai polvere
Di ali di farfalla.
Dopo tutto questo tempo
Avresti potuto farti sentire,
Lasciare un indirizzo.
Ma io sto nascosto,
Come fossi ferito, e forse
Mi avrai cercato in qualche
Angolo di questo esilio,
Su un palco fantasma
Tra attori fantasma,
Senza trovarmi.
E ora non ricordo più
Perché ti cercassi,
O tu me.
Sarà per la storiella antica
Dell’artista davanti
Al quadro, perplesso,
Il pennello sospeso a mezz’aria,
La scena gelata e immobile.
Finché l’ultimo tocco
Umido di turchese scende
A risolvere l’enigma
E a dire la verità sul mondo,
Ce ne fosse mai una.
Nella mia casa
Nella mia casa c’è un silenzio
Denso come l’istante
Dopo un colpo di vento.
Qui è sempre una domenica
D’inverno.
Qui non sono stato bambino
Né ragazzo, né giovane marito, tutto
Si è consumato altrove.
Eppure c’è dell’altro,
Baci e tagli, e lunghe solitudini
Dolenti, ognuna col suo fiore.
E tutto forma un cielo tra me
E il soffitto, nuvole viola e azzurre
Che nessun temporale
Porta mai via.
In questa luce tiepida
Bagno i miei giorni, risacca felice
In fondo, noia sorridente
Che mi accompagna
Nelle sere uterine
Di queste stanze.
Penso alla sabbia
Che la marea tiene
In sospensione, per ricomporla poi
Nel barbaglio del sole.
Così si disfa
Ciò che chiamo io,
Per ritrovarsi su per gli scalini
Di questo autunno,
Felice come un temporale su una
Foresta di castagni.
Prefazione di Giancarlo Sissa
Sull’altra riva. Poesie 2017-2020, quarta raccolta di Stefano Colletti, è un libro postumo e in quanto tale è opera che si affaccia sull’abisso dell’assenza, al limitare dell’ignoto, e che rappresenta il coronamento di un percorso di fedeltà stilistica ed esistenziale che l’autore ha scelto con impressionante lucidità sin dai suoi esordi.
(…) una lunga e meditata gestazione del discorso poetico, il vaglio scrupoloso dei testi, la severa organizzazione cronologica dei materiali, la cura tecnica limpidissima e la raffinata consapevolezza dell’importanza di ogni verso (prova ne sia che tutti i versi, anche quelli in enjambement, iniziano con la lettera maiuscola, secondo la lezione, a esempio, di Giovanni Giudici) sono infatti alcune delle caratteristiche della scrittura di Colletti, la cui opera è, anche per questo, certamente riconducibile a un inquadramento non distante dalla cosiddetta “linea lombarda”, corrente determinante della poesia italiana dell’ultimo secolo e con la quale Colletti condivide una acuta attenzione per il quotidiano, la leggibilità del dettato poetico, l’esercizio etico oltre che morale della memoria storica, la fiducia anche politica nell’esperienza dell’uomo, declinata a partire dalla narrazione dei fatti e delle cose della vita di ogni giorno puntualmente organizzata nel minimo teatro esistenziale di cui ogni poesia di Stefano è testimonianza.
Stefano Colletti (Mantova, 18 agosto 1960-22 luglio 2023), ha frequentato il Liceo Scientifico e si è poi laureato in Filosofia nel 1984.
Nel 1987 ha cominciato a insegnare nelle scuole superiori e da subito è stato un punto di riferimento per intere generazioni di studenti, che in lui hanno trovato un valido professore e una fonte di ispirazione importante per la passione che lo ha sempre animato in tutte le cose che ha fatto.
Da diversi anni insegnava Filosofia e Storia al Liceo Classico “Virgilio” di Mantova.
Stefano Colletti ha vinto il Premio editoriale “L’Autore” 2008, indetto dalla casa editrice Maremmi – Firenzelibri, con la raccolta L’erbario di marmo (2009), pubblicata dallo stesso editore in quell’anno. Nell’ottobre 2014 è uscita la sua seconda raccolta, Land Art (Terra d’ulivi, secondo premio al Concorso di Poesia “Castello di Prata Sannita” 2015, CE).
Nel gennaio 2020 è uscita la terza raccolta, Kintsugi-金 継 ぎ Poesie 2011-2016 (Terra d’ulivi).